martedì 31 dicembre 2013

Capo-d'anno Capo-lavoro

Dai, che anche per questo giro è andata. Si sa per i precari non è mai festa piena. Piuttosto, le feste, come le domeniche e le vacanze s'annunciano sempre con quell'antipatica nervosa irritazione.
Poi, malgrado ogni cosa, le attraversi cercando di non urtare troppo. Mica ti puoi chiudere in una caverna sprangando l'uscita. Vivi pur sempre fra gli effetti degli affetti, siano genitori, compagni, fidanzati, amici, vicini di casa, mogli o mariti, figli soprattutto se piccoli.
Loro il Natale lo sognano e lo assaporano e allora che festa sia. E festa è con tutto quel che ci vuole: le luci a intermittenza sull'albero, e il ruscellare della cascata nel presepe. L'odore di pisto che avvolge la casa nel sentore tradizionale delle spezie che danno sapore di mediterraneo  ai mostaccioli e ai roccocò.




E allora buon Capodanno e che sia un anno in cui riprendano senso e significato le parole 
lavoro dignità, speranza, fiducia.
Se chi ha la responsabilità delle decisioni vorrà guardare la realtà che ci circonda, se chi ha la responsabilità di informare e raccontare la realtà che ci circonda non è allora difficile immaginare che per l'anno che arriva, la precarietà sarà questione centrale da raccontare, discutere, combattere e vincere.
Buon Capodanno.
E che sia un anno in cui che abbia in capo il lavoro.
Che diano lavoro per andare a capo.
E per venirne a capo

giovedì 14 novembre 2013

Guerra contemporanea

Un giorno diremo che abbiamo combattuto la nostra personale e solitaria guerra. Lo diremo a chi è venuto o verrà dopo di noi. Figli e nipoti, ragazzi spensierati.
Gli diremo che nel secondo decennio del secondo millennio ci siamo adattati in una guerra a bassa intensità senza un nemico visibile da colpire. Lavori a singhiozzo con contratti pieni di obblighi e vuoti di diritti.

Verrà il dopoguerra e noi diremo di questo tempo fatto di un continuo uniformasi  ad un eterno presente cui non segue un futuro.

Racconteremo della rabbia dell'incertezza e delle dignità calpestate da nemici che cambiano come bersagli mobili.
I garantiti dentro il cerchio dei contratti di una volta quelli che un lavoro dura una vita; i figli di chi  tanto una soluzione fra le reti familiari o amicali la trovano comunque, una classe dirigente che calpesta la dignità di chi è rimasto fuori dal cerchio.
Malgrado l'impegno che ci abbiamo messo e ci mettiamo siamo in guerra disarmati.

Un giorno lo racconteremo come hanno fatto i miei nonni con me quando mi ripetevano della povertà dei tempi di guerra, della miseria del dopoguerra, del credere negli anni '50 e negli anni '60 che il futuro sarebbe stato migliore. E migliore fu. Sacrifici per comprare casa, il televisore, l'automobile; sacrifici per la settimana al mare, la scuola per i figli....

Negli anni del boom economico siamo nati noi, la prima generazione che non potrà donare ai figli tutto quel che i nostri genitori hanno donato a noi: la spensieratezza delle vacanze e il valore dell'istruzione; l'investimento in un tetto e un po' di sudato risparmio per il futuro.

Quel futuro è questo nostro presente precario; questa nostra guerra a bassa intensità che non vuol saperne di passare.
E quando passerà ci avrà talmente segnato l'anima e la memoria che avremo tutte le parole per trasformarlo in un racconto di dopoguerra.



lunedì 11 novembre 2013

Da chi meno te l'aspetti

C'è qualcosa di ingenuo nell'aspettarsi la pratica della solidarietà fra colleghe da  chi, a colpi convinti di tastiera  teorizza e  brandisce l'opportunità, la convenienza, la bellezza delle relazioni fra le donne. Non sempre va così. 

La giornalista precaria  Laura Eduati, collaboratrice dell'Huffinghton Post Italia intervista la ginecologa Alessandra Kustermann su questioni delicate ed intime che intrecciano fortemente la libertà delle donne  nei momenti di sofferenza privata.
L'articolo va on line, è un'intervista lunga, dettagliata, profonda e il titolo non rende giustizia delle complessità che affronta.

Marina Terragni, firma del Corriere della Sera che conosce la dottoressa Kustermann, commenta  l'intervista su fb  attaccando  Laura Eduati: la accusa di essere disonesta, di voler far carriera, di non aver riportato fedelmente il pensiero della ginecologa artatamente per rendere un servigio a Renzi perchè ha un fidanzato renziano.

Con buona pace della solidarietà fra donne, fra colleghe, fra una professionista tutelata dal contratto e dalla testata e fra una professionista precaria che nonostante tutto, nella totale incertezza di diritti e futuro, come tante e tanti, continua a fare onestamente questo mestiere.

La dottoressa Kustermann entra nella discussione precisando che il suo pensiero è stato riportato correttamente e con onestà, il titolo magari non dà conto appieno dell'intera intervista. Ma i titoli non li fanno i giornalisti che scrivono gli articoli.


La Terragni allora, dice che la Eduati avrebbe dovuto vigilare sul titolo.

E lei sicuramente sa che se il titolo non è responsabilità della redattrice, sia essa opinionista d'esperienza o collaboratrice precaria.

Come sicuramente sa che ognuna si accompagna, si fidanza o si sposa con chi le pare. Vale per tutte: per me, per Laura Eduati e anche per Marina Terragni.

Nel nome delle buone pratiche e  delle relazioni positive fra donne, fra amiche, colleghe, sorelle, conoscenti, garantite, precarie, proletarie , borghesi. 



giovedì 31 ottobre 2013

La giostra dei colleghi

Capita ogni tanto di ritrovarsi. Incontri una fisionomia già vista e fai fatica a dargli i contorni giusti; poi, a mano a mano, ripescando fra i vari lavori del passato prossimo, ricomponi il puzzle. Si è lavorato insieme per un tempo limitato, poi raggiunto l'obiettivo, finito il contratto, ci si saluta. 
Mi è accaduto appena qualche giorno fa in due episodi speculari.

Ero di passaggio in una mensa aziendale, ad un tavolo per quattro pranzavano due colleghe: contratto a tempo indeterminato da vent'anni e per i lustri  a venire che mancano alla pensione.
Al netto delle ferie, dei sabati e delle domeniche fa una vita insieme: tutti i giorni. Con le procedure produttive che si inframmezzano alle storie d'amore, il matrimonio, la nascita dei figli, la cura dei genitori che si ammalano, la febbre dei bambini, i venti che agitano la coppia e la spesa ancora da fare. Si condivide il lavoro e tutto il resto e  fa una vita insieme.

Ero di passaggio a Dentro i Fatti  trasmissione televisiva di un amico di sempre, sempre pieno di idee, Samuele Ciambriello,  fra gli ospiti Massimiliano Amato collega dell'Unità, lo leggo sul giornale, il suo libro Democrat è interessante, ci seguiamo su fb, ma non ci vediamo da molto tempo. Ci eravamo incrociati, non mi ricordo più in che anno, per un progetto editoriale mai andato in porto. Il suo numero di telefono è ancora sull'agenda che usavo allora.
Anche quello di sua moglie Piera Carlomagno sta in una vecchia rubrica, lei come me fa un mestiere e mille lavori l'ho conosciuta durante un'edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum. E anche in quell'occasione si condivide un po' di lavoro e qualche  frammento di vita.
Piccole note personali che si infilano nella filiera  frenetica degli uffici stampa, le conferenze, le telefonate che arrivano, le scadenze che incombono mentre il pensiero comprende anche la giornata dei figli che devono essere ripresi all'uscita di scuola, hanno lo sport o sono invitati ad una festa e culminano nel domandone di fine giornata: Che si mangia a cena?

E giorno dopo giorno, fino all'accumulo inconsapevole, degli anni che passano, anche quello del database dei colleghi per un giorno, una settimana, un mese, tre mesi, sei mesi cresce; ogni volta che finisce un contratto parte in automatico il reset: cancellare le mail che non servono più, archiviare file che non si sa mai possono tornare utili, concedersi la libertà di togliere l'amicizia su fb a quel tale che non sopportavi già il primo giorno.

Per essere pronti ad aprire una nuova lista di contatti: indirizzi elettronici, numeri telefonici, profili fb, account tw. 

E, su tutto, essere disposti a mettersi in relazione condividendo con curiosità, competenze ed emozioni con persone nuove, sempre più spesso più giovani di te. Può essere avvincente, a volte più, a volte meno. Di sicuro è faticoso.

domenica 20 ottobre 2013

Congresso PD; il #segretario che verrà e la #precarietà

Una testa un voto. Un voto di testa mia 

Dice che Matteo Renzi è in testa, lo dicono  i sondaggi misurando le intenzioni di voto per le primarie del Partito Democratico. Dunque sembrerebbe che i giochi siano fatti. Il popolo delle primarie, organizzato in correnti, componenti, sensibilità, gruppi e sottogruppi,  ha già deciso e lo sta dicendo ai sondaggisti con un certo anticipo.

Ci credo con riserva. Per molte ragioni, che non sono solo le mie ragioni.  Secondo me sta cambiando e di molto il sentire e il decidere del cosiddetto "popolo delle primarie" che potrebbe riservare delle sorprese.

In quanto a me, mi riservo di decidere e fra Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Giuseppe Civati, Gianni Pittella, sceglierò chi deciderà di illuminare il cono d'ombra in cui sono relegati i precari della generazione di mezzo vittime di una condizione che non hanno scelto, determinata anche dalle scelte collusive lunghe tanti anni del Pci, Pds, Ds, Pd che non hanno sufficientemente contrastato il cambiamento del mercato del lavoro nel delicato passaggio da posto fisso a flessibile che è diventato precarizzazione continua di vita senza tutele né diritti.

Questo Congresso per il Pd sarà un momento di svolta in cui o si rischia per il cambiamento o si rischia la frantumazione.

Il recupero della sua identità dovrebbe passare anche da qui: un'analisi seria del fenomeno sottotraccia dei precari della generazione di mezzo, una proposta politica credibile e convincente e poi una comunicazione efficace.

Intanto lo dico qui a tutti i candidati,  tra qualche ora, molto volentieri, lo dirò a Gianni Cuperlo, durante un incontro pubblico a Napoli dove sono stata invitata. Poi vi dirò.




domenica 6 ottobre 2013

Precarietà della #Generazionedimezzo in pagina su Repubblica. Finalmente.

"Accanto alle difficoltà materiali, i nè giovani nè vecchi in cerca di lavoro sono condannati ad una sorta d'inesistenza. E il disconoscimento è sempre una delle forme di violenza più subdole e assieme logoranti che si possa infliggere agli esseri umani". 

 Come in uno specchio. Fin dalle prime righe il commento firmato da Benedetta Tobagi http://interestingpress.blogspot.it/2013/10/frustrati-e-senza-lavoro-cosi-la-vita.html e uscito su Repubblica qualche giorno fa, rimanda la sensazione di uno specchio. 

Il taglio scelto è simile a quello del Sillabario, ma non è la primogenitura a dare forza alla questione. 
La forza dell'esistenza e delle ragioni dei precari si irrobustisce  in ragione della diffusione e della moltiplicazione dei luoghi in cui se ne parla e delle voci che le raccontano.

Le storie delle vite precarie della #generazionedimezzo diventano notizia e animano l'inchiesta, aperta dal racconto di Roberto Mania  "La generazione sprecata" http://interestingpress.blogspot.it/2013/10/la-generazione-sprecata.html.

Finalmente! Ho pensato  e sono sicura che lo hanno pensato o lo penseranno anche i lettori del Sillabario che da tempo, fedelmente seguono questo tema. Che è questione nascosta, da poco percepita non solo da chi dovrebbe osservarla e studiarla; da quanti dovrebbero affrontarla e governarla ma anche da quanti la vivono.

Esserne consapevoli per chi la attraversa richiede la fatica più dura, un cambio di pensiero: non c'è più, forse non c'è mai stato e comunque non ci sarà mai il posto fisso. Uno per la vita. Con gli stessi orari, gli stessi colleghi per qualche decennio, la scrivania con le foto dei figli... E' una generazione che non merita le consuetudini quotidiane del lavoro stabile.

Finalmente se ne parla entrando nel chi sono i precari, quanti sono, dove sono. Storie e dati emergono, come da una pentola a pressione scoperchiata di getto, nell'inchiesta a più firme http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/10/01/news/stato_precario-67649460/ di Vittoria Iacovella, Salvo Intravaia, Maria Elena Scandaliato, Valerio Mammone ed un commento di Federico Fubini.

Se ne parla finalmente e se ne parlerà sempre di più. E che chi è chiamato a farlo governi, ridandogli speranza, le vite dei precari della #generazionedimezzo la cui unica colpa è quella esserci capitati senza potersi sottrarre. 

lunedì 30 settembre 2013

Nel nome dei nonni

Vincenzo e Manuel hanno due settimane. Sono al mondo da 15 giorni. In questo mondo più incerto di sempre mettono in fila giorni da neonati: poppate, cambio pannolino, pisolini di giorno, il primo bagnetto, il controllo della crescita, qualche passeggiata nell'estate settembrina; le sveglie notturne. 
Moltiplicato per due; Vincenzo e Manuel sono gemelli.

Vincenzo porta il nome del nonno paterno; Cosimo il papà e Grazia la mamma lo hanno scelto perchè

"E' l'unico modo che ho per dire grazie a mio padre per tutto quello che fa per me"

confidò  in un soffio Cosimo ai colleghi quando ancora mancava un bel po' alla nascita dei suoi figli.

Prende nuovo senso l'antica consuetudine in uso, soprattutto al Sud, di dare ai figli il nome dei nonni che passa dall'essere un pratica tradizionale in alcune famiglie, addirittura obbligata, ad un segno di affetto, riconoscenza, gratitudine.

Nonni che si prodigano oltre la fatica delle notti dai sonni interrotti e sostengono con modeste pensioni ora il pagamento della bolletta, ora il conto al supermercato, ora l'acquisto di culla e corredino. 

Per i neo-genitori sempre in bilico fra lavoro e non lavoro, stipendi che arrivano in ritardo, diritti sempre più negati la mortificazione più grande sta proprio nel non poter   autodeterminare con orgoglio la scelta di essere genitori.

Dio benedica i nonni, Vincenzo e Manuel, i loro genitori, tutte le mamme e tutti i papà che hanno speranza e fiducia nel futuro.





giovedì 5 settembre 2013

Baciami e portami a ballare

Voglia di ricominciare con energia. E allora ci vuole una canzone. Intercettata per caso in macchina mentre ero in viaggio verso qualche giorno di vacanza, mi è piaciuta.

Sono fra quelli che si fanno catturare dal testo e poi dalla musica.
Alex Britti, oltre ad essere un bravo chitarrista, ha raccolto in tre minuti un'istantanea del tempo che attraversiamo senza colpa e poca speranza.

E se il ritmo ci ricaricasse?

https://www.youtube.com/watch?v=JEpS-qFkj8o

E' allegra e pe(n)sante insieme.
Perfetta per i propositi e le attese settembrine.

"E' un periodo cupo....
"Fa che ritorni il lavoro e l'entusiasmo dei giorni migliori
 fa che ritorni la gioia e si riaccendano tutti i motori..."

Meglio di tante analisi sociologiche ed economiche.

Meglio una bella canzone.

domenica 11 agosto 2013

Grazie Papa Francesco

"La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continuano a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste. Alcune patologie aumentano,  con le loro conseguenze psicologiche; la paura e la disperazione prendono i cuori di numerose persone, anche nei Paesi cosiddetti ricchi; la gioia di vivere va diminuendo; l’indecenza e la violenza sono in aumento; la povertà diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo non dignitoso".

Papa Francesco 16 maggio 2013
dal discorso ai nuovi ambasciatori accreditati in Santa Sede 

 

Piccola Pausa per il Sillabario.
Mi piace lasciare qui l'immagine sorridente di Papa Francesco e le sue parole.

Che siano di incoraggiamento a tutte le persone che vivono sulla loro pelle l'amarezza e l'ingiustizia della precarietà.

Che siano di monito e illuminino l'azione di quanti dall'alto di incarichi istituzionali sono chiamati a decidere nel nome del bene comune 

giovedì 1 agosto 2013

#Autobus-Irpinia: fatalità e precarietà

Tragedia di Monteforte Irpino. Davvero solo caso assassino o destino? O piuttosto una tragedia che ha incrociato precarietà fatali, figlie di un incastro di tempo di lavoro calpestato e di tempo di riposo anch'esso strappato ai pochi soldi disponibili.

Un autobus su strada da 18 anni; piccola azienda a gestione familiare dove il confine tra la norma e normalità è troppo labile per essere rispettato.

Un guard-rail che non regge l'urto, si appurerà se ci sono sono responsabilità per quel new jersey frantumato verificando anche qui il filo sottile tra norma e normalità. Anch'esso troppo labile per essere controllato?

Vite precipitate in fondo ad una scarpata. Famiglie semplici, Nonni con nipoti, genitori  con figli.

Partiti da Monteruscello provincia di Napoli per passare qualche giorno di fresco appena fuori provincia.
Persone normali abituate normalmente a non consentirsi più del necessario. Morte lasciandoci un'inquietante riflessione: potevo esserci io, potevi esserci tu, potevamo esserci tutti.



lunedì 29 luglio 2013

Il 27 che c'era e il 27 che non c'è mai stato

Il 27 era una certezza. Giorno di paga per i lavoratori; una certezza che permetteva di progettare il futuro. Anche chi l'ha sempre avuta, ne parla al passato. Repubblica gli ha dedicato un puntuale servizio firmato da Federico Fubini proprio al cadere quest'ultimo 27 estivo.

http://www.repubblica.it/economia/2013/07/27/news/cos_sparito_il_27_del_mese_stipendio_sempre_pi_in_ritardo-63797615/

In tutt'Italia, nei settori legati ai pagamenti statali, il giorno di paga si fa sempre più lontano e i lavoratori hanno scoperto l'incertezza.

Ora, lo voglio dire con chiarezza: non è che chi il rito del 27 non l'ha mai celebrato può rallegrarsi di una notizia così.
Se si frantuma così una certezza di vita e di futuro in modo tanto diffuso, vuol dire che la salita si fa più impervia per tutti. Lavoratori stabili e lavoratori precari.

E anche questo non è giusto.

giovedì 18 luglio 2013

Vacanze senza riposo

Da precari, il lavoro più pesante, soprattutto d'estate,  lo fa il cervello, addensato continuamente di interrogativi legati a doppio filo al futuro prossimo.

La proiezione massima è il dopodomani

Nell'incertezza continua, del contratto che scade, magari fra maggio a giugno la frase: "ci risentiamo a settembre" arriva come una mannaia. E dà senso negativo all'originario significato della parola vacanze.

Vacatio - Vuoto. Vuoto Pneumatico Depresso.

Vacanze da cosa???
Per dove? E con quali soldi? Perchè caratteristica e abuso della precarietà è lavorare ora ed essere pagati poi. I committenti aspettano sempre i soldi da qualcun'altro. Quasi sempre un ente pubblico.

E allora, nonostante il caldo che fa; stai fresco!
Vacanze? Dipende.

Il single resta a casa.
In coppia si spera in un last minute magari dopo ferragosto.
Chi ha figli qualche giorno di mare ci vuole.

Loro si divertono e poi si risparmiano qualche influenza d'inverno, che arriva sempre nella settimana in cui si lavora. E allora quest'anno l'ombrellone o il bilocale zona balneare si condivide con amici o parenti.
Insieme si ammortizzano i costi, ci si sente meno soli e le giornate d'attesa e di speranza passano prima.

Se poi c'è la connessione wi-fi non si resiste alla tentazione di controllare la posta, fb, tw e il telefono. Chiamasse qualcuno prima di settembre. Non si sa mai.

Meglio staccare qualche giorno, riponendo portatile e telefono per ridurre l'ansia della vacanza senza riposo.





giovedì 11 luglio 2013

Buon Compleanno Sillabario!

Fra poche ore SillabarioPrecario compie 1 anno. Grazie a tutte e a tutti!

L'ho immaginato e voluto per accendere una luce sui lavoratori precari della generazione di mezzo; condizione non scelta, subita e che condiziona la quotidianetà,  la vita e il futuro.

Mentre scrivo sono a 3735 visite, un risultato straordinario visto l'argomento non proprio dei più leggeri.


Sono contenta di scriverlo 

venerdì 5 luglio 2013

Uscire dal cono d'ombra

E' stata una bella esperienza.
Per la prima volta sillabario precario in tv. Ieri se ne è parlato a Agorà Estate su RaiTre.

Ho avuto a disposizione un piccolo spazio sufficiente ad inserire nel dibattito pubblico la questione della precarietà della generazione di mezzo. 
Stando li ho avuto più volte la sensazione di essere in cono d'ombra:  la puntata intitolata  LavorareManca  ha focalizzato la discussione soprattutto sulla cassa integrazione degli operai Fiat di Termini Imerese, e sulla disoccupazione giovanile. 

La scaletta mi ha confermato che far entrare la questione della precarietà della generazione di mezzo nell'agenda politica del Paese appare una bella sfida. 

Il primo passo è stato fatto di questo ringrazio il conduttore, il collega Giovanni Anversa che da lettore del Sillabario mi ha invitato in trasmissione.

Può darsi che ci saranno altre occasioni di confronto per ora lascio qui il link della trasmissione.
Il mio intervento, guardando l'orologio della trasmissione in basso a destra è alle 9.32 e alle 9.42


martedì 2 luglio 2013

Ultim'ora: #Sillabario ad #Agorà su raitre giovedi 4 ore 9.10

 Si accendono i riflettori sul Sillabarioprecario.

Giovedì 4 luglio se ne parlerà ad Agorà su Rai Tre, trasmissione di approfondimento quotidiano condotta da Giovanni Anversa.

Sono contenta di essere stata invitata. Spero di saperci mettere la faccia e rappresentare come merita dando visibilità alla #generazionedimezzo. Uomini e donne,  over 35 condannati ad una condizione di eterni ragazzi. 

mercoledì 26 giugno 2013

#generazionedimezzo #cittadinanzadimezzata

#Generazionedimezzo #cittadinanzadimezzata. Lo dice bello chiaro il tanto strombettato decreto lavoro appena varato dal Governo Letta. 

Non ho dai 20 ai 29 anni, ho un titolo di studio, non vivo da sola. Sono precaria. Figlia di emigranti, vivo al Sud. Appartengo alla #generazionedimezzo 30-55 enni cui hanno detto studia, impara, investi su di te e non preoccuparti.

Mi sveglio già abbastanza preoccupata ogni giorno, ma dopo questo provvedimento non sono solo preoccupata, sono indignata. 

Mi chiedo dove vivano i rappresentanti istituzionali, parlamentari e di partito e chi se non loro dovrebbe far irrompere  la questione della precarietà nell'agenda politica di questo Paese. 

Ne parlavo appena oggi con una compagna di università, brava e capace, 20 anni di esperienza gestionale in progettazione da precaria che a 47 anni sta studiando per l'esame orale del concorsone nella scuola. Ne parlavamo e rabbrividivamo per il ribaltamento delle nostre convinzioni di sempre. 

E se non andassimo più a votare? 

Oggi l'ho pensato per la prima volta nella mia vita. Ed è un pensiero che mi offende. E anche se il pensiero è mio, l'offesa non me la sono data io.

sabato 8 giugno 2013

Abito precario

Vestiti fuori moda, fuori moda non vintage che fa tanto glam. C'è poco da fare, si riconoscono subito: i precari indossano abiti di almeno due stagioni fa. Quelli che lavorano a casa, da casa; quelli che non sia mai gli venisse messo a disposizione un ufficio; non sia mai. Perchè un luogo di lavoro, con giorni e orari stabiliti potrebbero un giorno far chiedere, rivendicare e (ottenere?) una stabilizzazione. Un contratto diverso. Evitiamo questo pericolo; meglio che lavori a casa tua che consegni il lavoro quando ti dico io e per il pagamento poi si vede. C'è sempre qualcun'altro che deve pagare chi commissiona il lavoro. Passano mesi, semestri, anni. E c'è tutto il tempo per disabituarti allo shopping.

Gradualmente, mica te ne accorgi subito e ad un certo momento realizzi  che se ti serve un maglietta devi fare mente locale per un po' prima di ritrovare nella tua mappa mentale il negozio dove andare, trovare quello che ti occorre senza spendere molto,  basic abbinabile con quel che hai già e che ti piaccia per un bel po',

Perchè non è che se ti compri un capo, puoi dire dopo una settimana "non mi piace più come mi torna". La vanità è un lusso. Stando molto a casa poi, anche perchè riduci per autodifesa le occasioni di socialità, non ti serve granchè.

Nell'armadio aumentano le "cose per la casa": maglie e pantaloni vecchi; tute, felpe, t-shirts dimenticate e  recuperate dagli anni universitari. E calzini spaiati che compaiono a frotte, non ancora arresi al destino senza ritorno della vestaglia da camera.

domenica 19 maggio 2013

Con-senso sociale precario a Palazzo San Giacomo

Chissà se esiste il senso di colpa istituzionale? E se attraversa  i piani alti di Palazzo San Giacomo, sede del Comune  di Napoli. La Giunta, da quando si è insediata ha scelto di mortificare le Politiche Sociali non pagando ormai da più di due anni i servizi che ha  affidato a decine di cooperative sociali, associazioni ed enti che si occupano di bambini a rischio, donne in difficoltà, ragazzi che non vanno a scuola, famiglie provate dall'esclusione sociale. 

Il sindaco Luigi de Magistris, il vicesindaco attualmente titolare della delega alle Politiche Sociali Tommaso Sodano il passato assessore al ramo, Sergio D'Angelo, sono stati e sono incapaci di declinare le Politiche Sociali come Politiche di Sviluppo; in una città come Napoli, sofferente e faticosa, puntare sul capitale umano di educatori, animatori, psicologi e tutti i profili professionali del settore per tendere la mano a tante persone di ogni età e dalle varie difficoltà sarebbe una risposta ad un futuro di malattia sicura, di disagio certo,  di affermazione della camorra inevitabile.

Oggi stanno determinando senza nessun senso di colpa istituzionale la precarietà rabbiosa degli operatori del settore e delle loro famiglie e la precarietà rassegnata di tanti cittadini privati dei servizi e delle loro famiglie. 

Oggi. Il domani appare sfocato all'orizzonte, senza certezze per gli uni e per gli altri.  Anche per chi ha o ha avuto responsabilità istituzionali. Faranno bene a non candidarsi più a niente, nemmeno ad amministrare il condominio dove vivono. Perchè se avranno l'ardire di farlo di certo non potranno chiedere consenso agli operatori sociali e alle loro famiglie e ai cittadini rimasti senza tutela e alle loro famiglie stremate dalle emergenze.

Dice che la prossima settimana il sindaco De Magistris presenterà i nuovi assessori chiamati a soccorso di tanta inefficacia e inettitudine. A chi prenderà la delega delle Politiche Sociali davvero non saprei che cosa augurare. Riannodare l'esile filo della fiducia per ricostruire il con-senso sociale pare impresa impossibile.

giovedì 2 maggio 2013

#PrimoMaggio 2013: tre donne raccontano

Un altro nodo si aggiunge qui  al filo del disagio collettivo del Primo Maggio che era appena ieri. E' un filo femminile.  Ieri appunto, la rete mi ha restituito prima la storia raccontata da Tiziana Ragni e a tarda sera, quello scritto da Gabriella Buttari sul giornale on line http://paralleloquarantuno.it/?p=2839e rilanciato da Giuliana Caso su fb.
Una storia difficile  e vera, come tante; una storia di questo disgraziato tempo. Voglio che si possa leggere anche da qui, perchè vedo in questi racconti di donne in cui senza neanche conoscerci ci siamo ritrovate ieri sulla rete a raccontare quel che sappiamo. Come da sempre fanno facciamo noi donne, consapevoli anche nella sofferenza che sta accadendo a te, ma non è un dolore solo tuo. 
E' un dolore collettivo ed un'ingiustizia collettiva, raccontati il PrimoMaggio Duemila13 da 4 donne. (lg) 

http://sillabarioprecario.blogspot.it/2013/04/nella-precarieta-tutti-i-giorni-sono.html di laura guerra

http://sillabarioprecario.blogspot.it/2013/05/amare-e-un-duro-lavoro.html di tiziana ragni


Anche se tornassi a lavorare nulla sarebbe più come prima di Gabriella Buttari

Un bel lavoro. Di quelli che per questi tempi qua guadagni bene, quasi 1700 euro al mese. Di quelli che la gente dice che non fai niente, che invece attacchi alle dieci e smonti pure, alle dieci, quando 





tutto va bene. segnaleticalavotro 


Di quelli che fai pure cose prestigiose, incontri e tratti con gente di livello, ti dà soddisfazione. Di quelli che al supermercato non badi al prezzo delle cose, compri senza pensare, a volte vai pure dalle gastronomie fighe. Di quelli che vai alla Feltrinelli almeno una volta a mese, e fai una bella scorta. Di quelli che vai anche dal parrucchiere.
Ma poi finisce. Lo sapevi che finiva, ma pensavi pure che il tuo lavoro prestigioso ti avrebbe aperto altre porte. Il tuo cv lungo e vario ti avrebbe dato molte scelte. Invece.
Invece gradualmente sei entrata pure tu nella folla che va al discount, prima nei giorni della settimana, alle due, per non farti troppo notare. Poi anche il sabato e la domenica, tranquillamente. Ma anche lì a decifrare i prezzi, a prendere i biscotti per i bambini che somigliano a quelli di prima per non fargli notare troppo la differenza. E ti fai la tintura in casa. E neanche negli outlet puoi andare più. Negli outlet in saldo, solo là puoi andare. A prendere le cose ai bambini perché crescono, e a loro devi comprare per forza. Tu, ti arrangi, e meno male che non cresci più.
Eri una privilegiata, e non sapevi di esserlo. Pensavi che il tuo modo di vivere era normale. Che non sarebbe cambiato mai. Invece.
Invece ora cammini su quel filo sottile che separa la sopravvivenza dalla povertà. Perché meno male che una casa ce l’hai, te l’hanno comprata i tuoi genitori professionisti, allora era normale. Oggi, che anche tu sei professionista, e pure tuo marito, non potresti mai comprare nemmeno una cabina al mare.
Da fuori sei quella di sempre, cerchi di mantenere una dignità tagliando le spese. Cominci a leggere solo i giornali on line, che sono gratis, addio al cartaceo; a mangiare fuori non se parla proprio, al limite sulla spiaggia con i panini. Vacanze da chi ti ospita, te e la tua famiglia. E poi eviti. Eviti un sacco di cose. Eviti di frequentare amici che invece un lavoro ce l’hanno ancora, e vanno fuori a mangiare una pizza che per quattro per te sarebbe troppo. Eviti di passare davanti ai cinema perché se i bambini vedono la locandina dell’ultimo cartone poi ci vogliono andare. Eviti di stare male, le medicine costano. Eviti di prendere la macchina perché è senza assicurazione, non la puoi pagare.
E poi speri. Speri che questa cosa cambi, che qualcuno prima o poi ti risponda, che abbia bisogno della tua alta professionalità e di tutto il resto. Speri che finisca, che torni ad essere tutto come prima.
Ma non sarà mai come prima. Anche se dovessi tornare a lavorare. Qualcosa dentro di te è cambiato. La tua idea di consumo, di cose che assolutamente servono e di cui non si può fare a meno. Cose non necessarie. Decrescita felice? Bisogna sbatterci la faccia, per decrescere, anche se non felicemente, almeno senza eccessiva sofferenza.

mercoledì 1 maggio 2013

Amare è un duro lavoro

 "Amare è un duro lavoro" è una storia bellissima. Scritta benissimo da  Tiziana Ragni che è @LaVeraMeriPop su  twitter e firma il blog  www.supercalifragili.com
La pubblico qui perchè mi piace che possa rimanere anche sul sillabario. Grazie a Tiziana.

- Giacomo e Maria sono sposati da quindici anni. Avete presente, si? Quando va di lusso ci si sente come due fratelli. Altrimenti insopportabili. In ultima istanza estranei. Eccola dunque la linea Maginot: è a quel punto che Giacomo inizia a farsi reticente, cambia le password al computer, si porta il cellulare al bagno, sparisce per non meglio identificati sopraggiunti impegni. Avete presente, si? E’ lì che Maria dice “Meripo’ ma secondo te?”. E beh avete presente si?

N’altra linea Maginot fra la bugia pietosa e l’attesa che Maria lo capisca da sola che l’amore dura tre anni e al quindicesimo continuare a infierire è disumano.
Però per quel po’ di prudenza che la carta d’identità, lo stato civile e questo blogghe mi hanno aiutato a sviluppare mi taccio. E dico, anzi scrivo, che Maria io non l’ho mai incontrata di persona ma solo di tastiera, le scrivo che “parla, chiedi. Ma solo quando sarai pronta a ricevere risposte sennò statte zitta e aspetta”.
E niente, Meripo’, quando squilla il cellulare si allontana, quando usa il computer si incacchia se gli passo alle spalle. Avete presente si? Assente, teso, basta cinema, basta pizze il sabato, basta vacanze insieme. Ci sono due bambini e in vacanza ci si va, poco, lei e loro.
Insomma questa storia va avanti più di un anno. E lei zitta. E io pure. E lui anche. Finché il mese scorso Giacomo l’ha fatto: l’ha invitata a cena fuori e le ha detto quelle due paroline con le quali di norma si apre ogni separazione che si rispetti:

-Dobbiamo parlare
Beh lo hanno fatto. Lei la prima cosa che gli ha chiesto è stata:
-Saltiamo le premesse, lei come si chiama?
Ed è stato allora che lui glie l’ha detto: lei si chiama disoccupazione. Giacomo un anno fa è stato licenziato. Ha continuato ogni giorno a uscire alle otto e rientrare alle sette, ha continuato a pagare bollette, dentista e vacanze dei bambini. Ha chiesto prestiti e ha dato fondo ai risparmi. Per un anno ha risposto al cellulare in bagno alle agenzie di lavoro interinale. Per un anno ha continuato a lavorare così: senza lavoro.
Ora una piccola offerta è arrivata: lo pagheranno di meno e lavorerà di più. Quindi a cena ha detto a Maria che quest’anno in vacanza ci si torna tutti insieme. Ma al campeggio.

domenica 28 aprile 2013

#PrimoMaggio: nella precarietà tutti i giorni sono uguali

Tutti i giorni sono uguali quando sei precario. Anche il Primo Maggio. Te ne accorgi quando i sabati e le domeniche, le vacanze e le feste comandate ti mettono ansia, poi ti irritano un po' e non sai bene come mai fino ad urtarti definitivamente. Lavori e non lavori, ti pagano e non ti pagano e comunque non sai mai con quale scadenza.
Quel che è certo e che nei giorni rossi del calendario e nei periodi di vacanza non ci saranno novità: nè per un po' di lavoro in più, nè per un po' di soldi in più. E se non lavori i giorni di vacanza non ti servono per riposare; e se non hai soldi non ne può spendere in svago. Stai a casa esattamente come gli altri giorni, in compagnia di una rabbia sottile e corrosiva.
Si è svuotato di significato il tempo di vita e il tempo di lavoro, fino a poco fa ordinati e divisi.
Oggi è tutto frammentato. Si lavora con contratti che durano un giorno, tre giorni, una settimana, un mese... e quando si è senza si sta a casa ad aspettare.
Si sono dispersi anche i luoghi: c'erano i luoghi di lavoro, c'erano... oggi la tecnologia in rete consente soprattutto nei servizi, di lavorare da remoto. Casa & Bottega è una spirale perversa. Se aspetti che ti chiamino sei a casa; se hai qualcosa da fare 'per obiettivi', sei  a casa a lavorare. Non importa a che ora: fatti tuoi, al datore interessa il risultato. Punto. 
Chissà quanti precari oggi -  Primo Maggio -  stanno cercando di raggiungerlo in solitudine, a casa loro, mentre in sottofondo la tv rimanda gli inutili riti della ricorrenza promossi dai sindacati che invece di celebrare concertoni farebbero bene a parlare ai precari soli nelle loro case, anzi no a casa dei genitori.

giovedì 11 aprile 2013

Diritto di essere bambini: venerdi 12 aprile a Napoli presidio de il Welfare non è un Lusso e convocazione Tavolo di Crisi del Welfare

Quando due precarietà si incontrano non resta che lo sconforto o la rabbia, forse. Il dolore sicuramente e, se c'è ancora un residuo di energia, non resta che indignarsi e protestare. Protestare in nome e per conto dei bambini invisibili di Napoli che subiscono la precarietà di un'esistenza violata ancora una volta; protestare contro la precarietà del proprio lavoro. Se ti prendi cura di un ragazzo in difficoltà sai che vuoi e che devi continuare a farlo anche se non ti arriva lo stipendio da più di due anni. Ma sai anche che non è giusto. 
Gli operatori sociali napoletani riuniti nel coordinamento Il Welfare non è un Lusso,  venerdì 12 aprile a partire dalle 16.30  animeranno un presidio  sotto le finestre dell'ufficio  del sindaco Luigi de Magistris per chidere un intervento immediato per evitare la chiusura di  Napoli 80 case famiglia ormai ridotte alla sopravvivenza. Ancora per poco. 
Non si riesce più a pagare l'affitto; le bollette: la spesa: le terapie dei ragazzi; il vestiario, scarpe, libri per i bambini. Come in tante famiglie contemporanee di oggi. E se le case famiglia chiudono che ne sarà dei 400 bambini che in quelle case hanno trovato un po' di vita normale. Il presidio si svolgerà in contemporanea alla convocazione del Tavolo di Crisi del Welfare istituito fra Comune di Napoli, Enti del Terzo Settore e delegazioni dei lavoratori.


mercoledì 3 aprile 2013

Flashmob dei precari dei call center sabato in 4 piazze italiane

Sabato prossimo i precari dei call center lasciano le loro postazioni indossano scendono in piazza in contemporanea i tante città italiane per manifestare contro la delocalizzazione dei servizi di custom care. Difficili da quantificare in modo esatto per l'estrema precarietà dei contratti che regolano i loro tempi di lavoro e di vita. http://www.comunicareilsociale.com/2013/04/03/precari-dei-call-center-flash-mob-in-tutta-italia/

sabato 23 marzo 2013

Pierluigi Bersani, guarda ai precari italiani

Pierluigi Bersani, guarda questa immagine: sono i precari di Città della Scienza e tutti i precari italiani.
Glielo avevo già scritto; un mese dopo mentre percorre il sentiero stretto per formare il Governo riecco il mio memo per Pierluigi Bersani.
Ve li ricordate?
Sono i due ragazzi dello spot Il Bacio - uno dei due - della campagna di comunicazione  elettorale del Partito Democratico. Poetico è poetico e questa è la scena finale. Nei fotogrammi precedenti i due protagonisti, precari, sono presi da mille dubbi. Senza certezze per il futuro, niente lavoro stabile, niente casa, niente prospettive, possiamo progettare un amore? - Si chiedono. Poi la scena finale: Bella idea. 
Peccato che in campagna elettorale della precarietà non si sia parlato che per timidi accenni; senza parole d'ordine che richiamassero in modo chiaro a provvedimenti, misure, politiche economiche e del lavoro per la generazione di mezzo: i tanti dai  dai 30 ai 50 anni  fuori da tutti i processi lavorativi equi e giusti degni di questo nome.

E' passato un mese e alla già vasta platea dei precari italiani, si aggiunge, diventando drammatica la condizione dei precari di Città della Scienza, il museo scientifico interattivo di Bagnoli,  andato in fumo nella notte del 4 marzo. Quelle fiamme hanno bruciato quel po' di presente lavorativo precarizzato di 400 persone, perlopiù esperti in discipline scientifiche, conduttori dei laboratori didattici, che negli anni hanno incuriosito e catturato centinaia di migliaia di bambini e ragazzi.


L'immagine di questa scultura, annerita dalle fiamme, in piedi fra le lamiere contorte, ben rappresenta i precari di Città della Scienza e tutti gli altri. Chiedo a Pierluigi Bersani di guardare a quest'immagine. 

mercoledì 20 febbraio 2013

Bersani:domani da Napoli fai un Patto con i Precari


Il Popolo delle Primarie è un Popolo abitato da precari. Il Popolo italiano è un Popolo abitato da precari. Sempre di più e sempre più soli. Bersani premier avrà l'occasione, se vorrà, di guardarci all'altezza degli occhi. Con provvedimenti, misure, politiche economiche e del lavoro che tengano conto di chi dai 30 ai 50 anni è fuori da tutti i processi lavorativi equi e giusti degni di questo nome.
In campagna elettorale se ne sono visti solo timidi accenni anche nel Partito Democratico che è il mio partito: della precarietà non si è parlato in modo diffuso; il convivere con condizioni quotidiane di lavoro e di esistenza precarie  attraversa tutte le generazioni interessando uomini e donne da Nord a Sud. 
Sono una di quelle persone che si è impegnata nelle primarie del Partito Democratico, una del popolo delle primarie cui Bersani in queste ore si sta rivolgendo chiedendo un ultimo sforzo perché si faccia moltiplicatore di  un voto responsabile ed indispensabile per  garantire al Paese un governo stabile.Sono d'accordo, si deve fare, si sta già facendo.
Stiamo già in  moto, da settimane in tante e tanti; per strada ed in casa; nelle iniziative pubbliche e nelle occasioni private. Spero stamattina di aver convinto al voto la mia gentile estetista mentre a capo chino era intenta a sistemarmi le unghie troppo a lungo trascurate; tanto per dire. Viaggio in autobus ed è un'occasione che torna buona per intavolare piccoli ed animati confronti su queste elezioni invernali. Ognuno smacchia il giaguaro come può. E non c'è luogo in cui non intrecci la più privata delle questioni: l'essere precari: Se non incontri i diretti interessati che riconosci subito dallo sguardo e quell'avere tempo a disposizione, incontri le loro madri, o addirittura qualche arzillo nonno ancora appassionato partecipante alle iniziative pubbliche del partito che ti dice abbassando la voce e lo sguardo: "sai mio nipote, è bravo e laureato e lo sfruttano solo, gli do una mano quando posso".
Caro Bersani, se parli i precari, ai loro genitori, ai loro nonni stringi un patto di cittadinanza davvero con tutti; ti chiedo di farlo con un passaggio chiaro e deciso, non un accenno generico domani  a Napoli dal Palco di Piazza Plebiscito.

martedì 15 gennaio 2013

L'impotenza e la rabbia fra chi è dentro e chi è fuori

Palazzo San Giacomo sede del Comune di Napoli sta catalizzando la rabbia, l'impotenza, la voglia di lottare e la stanchezza di lottare dei lavoratori. Dipendenti comunali e operatori sociali. Non si combattono perchè la partita non è la stessa ma i secondi di sicuro guardano male i primi.
Lavoratori diversi, che fanno cose diverse, hanno contratti diversi, diritti diversi, profili diversi, storie diverse. E hanno rivendicazioni diverse; un solo sentimento li accomuna: quel sentire sulla loro pelle forte l'ingiustizia; se la portano scritta in faccia, gli attraversa la giornata e gliene inquina la qualità degli affetti, perchè sono quelli più vicini a te a soffrirne di più. Insieme a te.
Il lavoro è come un cerchio: sei dentro, sei fuori, sei nella zona grigia fra il dentro e il fuori.
I dipendenti del Comune di Napoli rischiano tagli agli stipendi, stanno protestando per difendere il loro diritto acquisito; gli operatori sociali  che gestiscono servizi  per conto del comune, per aiutare chi resta indietro non vengono pagati da più di due anni. Il Comune non ha i soldi per pagare i servizi che gli ha affidato.
Per un operatore sociale precario un dipendente comunale è comunque un privilegiato, uno che conta su diritti che lui non avrà mai e che intanto ne ha uno grandissimo: uno stipendio fisso alla fine di ogni mese. Un privilegio, pensarci dà quasi una vertigine. Sapete cosa vuol dire programmare non dico il futuro ma una spesa? E' un privilegio, appunto. E allora, che cosa protestano questi dipendenti comunali? Non hanno il diritto di difendere un privilegio.
No. Non è una rabbia giusta. Non è che restringendo i diritti a chi li ha ne garantisci di più a chi non li ha mai avuti. E' un'ingiustizia e l'invidia sociale non sana l'ingiustizia, la rende solo più aspra.