giovedì 2 maggio 2013

#PrimoMaggio 2013: tre donne raccontano

Un altro nodo si aggiunge qui  al filo del disagio collettivo del Primo Maggio che era appena ieri. E' un filo femminile.  Ieri appunto, la rete mi ha restituito prima la storia raccontata da Tiziana Ragni e a tarda sera, quello scritto da Gabriella Buttari sul giornale on line http://paralleloquarantuno.it/?p=2839e rilanciato da Giuliana Caso su fb.
Una storia difficile  e vera, come tante; una storia di questo disgraziato tempo. Voglio che si possa leggere anche da qui, perchè vedo in questi racconti di donne in cui senza neanche conoscerci ci siamo ritrovate ieri sulla rete a raccontare quel che sappiamo. Come da sempre fanno facciamo noi donne, consapevoli anche nella sofferenza che sta accadendo a te, ma non è un dolore solo tuo. 
E' un dolore collettivo ed un'ingiustizia collettiva, raccontati il PrimoMaggio Duemila13 da 4 donne. (lg) 

http://sillabarioprecario.blogspot.it/2013/04/nella-precarieta-tutti-i-giorni-sono.html di laura guerra

http://sillabarioprecario.blogspot.it/2013/05/amare-e-un-duro-lavoro.html di tiziana ragni


Anche se tornassi a lavorare nulla sarebbe più come prima di Gabriella Buttari

Un bel lavoro. Di quelli che per questi tempi qua guadagni bene, quasi 1700 euro al mese. Di quelli che la gente dice che non fai niente, che invece attacchi alle dieci e smonti pure, alle dieci, quando 





tutto va bene. segnaleticalavotro 


Di quelli che fai pure cose prestigiose, incontri e tratti con gente di livello, ti dà soddisfazione. Di quelli che al supermercato non badi al prezzo delle cose, compri senza pensare, a volte vai pure dalle gastronomie fighe. Di quelli che vai alla Feltrinelli almeno una volta a mese, e fai una bella scorta. Di quelli che vai anche dal parrucchiere.
Ma poi finisce. Lo sapevi che finiva, ma pensavi pure che il tuo lavoro prestigioso ti avrebbe aperto altre porte. Il tuo cv lungo e vario ti avrebbe dato molte scelte. Invece.
Invece gradualmente sei entrata pure tu nella folla che va al discount, prima nei giorni della settimana, alle due, per non farti troppo notare. Poi anche il sabato e la domenica, tranquillamente. Ma anche lì a decifrare i prezzi, a prendere i biscotti per i bambini che somigliano a quelli di prima per non fargli notare troppo la differenza. E ti fai la tintura in casa. E neanche negli outlet puoi andare più. Negli outlet in saldo, solo là puoi andare. A prendere le cose ai bambini perché crescono, e a loro devi comprare per forza. Tu, ti arrangi, e meno male che non cresci più.
Eri una privilegiata, e non sapevi di esserlo. Pensavi che il tuo modo di vivere era normale. Che non sarebbe cambiato mai. Invece.
Invece ora cammini su quel filo sottile che separa la sopravvivenza dalla povertà. Perché meno male che una casa ce l’hai, te l’hanno comprata i tuoi genitori professionisti, allora era normale. Oggi, che anche tu sei professionista, e pure tuo marito, non potresti mai comprare nemmeno una cabina al mare.
Da fuori sei quella di sempre, cerchi di mantenere una dignità tagliando le spese. Cominci a leggere solo i giornali on line, che sono gratis, addio al cartaceo; a mangiare fuori non se parla proprio, al limite sulla spiaggia con i panini. Vacanze da chi ti ospita, te e la tua famiglia. E poi eviti. Eviti un sacco di cose. Eviti di frequentare amici che invece un lavoro ce l’hanno ancora, e vanno fuori a mangiare una pizza che per quattro per te sarebbe troppo. Eviti di passare davanti ai cinema perché se i bambini vedono la locandina dell’ultimo cartone poi ci vogliono andare. Eviti di stare male, le medicine costano. Eviti di prendere la macchina perché è senza assicurazione, non la puoi pagare.
E poi speri. Speri che questa cosa cambi, che qualcuno prima o poi ti risponda, che abbia bisogno della tua alta professionalità e di tutto il resto. Speri che finisca, che torni ad essere tutto come prima.
Ma non sarà mai come prima. Anche se dovessi tornare a lavorare. Qualcosa dentro di te è cambiato. La tua idea di consumo, di cose che assolutamente servono e di cui non si può fare a meno. Cose non necessarie. Decrescita felice? Bisogna sbatterci la faccia, per decrescere, anche se non felicemente, almeno senza eccessiva sofferenza.

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