mercoledì 3 maggio 2017

Vite vere (anche) nei numeri. Istat certifica aumento disoccupazione over 50


La precarietà non è solo questione che aggredisce e condiziona la vita e la scelta dei giovani. La precarietà silenziosa e furente  perché segna drammaticamente quotidianità e futuro, fa vittime nella generazione di mezzo, quelli intorno ai 50. Nati negli anni Sessanta, formati, soprattutto al Sud all'importanza dello studio, allevati all'ambizione del posto fisso, vittime - soprattutto al Sud - del perverso e amorale scambio consenso politico-occupazione.

Lo dico qui da tempo e oggi arriva anche l'Istat a certificare l'esistenza precaria nella società contemporanea italiana dei cinquantenni beffati dalla mezza età.

http://www.lastampa.it/2017/05/03/economia/nella-corsa-alla-disoccupazione-i-vecchi-sorpassano-i-giovani-cuw8JV5NLLwKkCjGO7Ia6N/pagina.html


Tra febbraio e marzo 2017 i disoccupati «anziani» sono aumentati di 59 mila unità, 103 mila in più rispetto a marzo 2016. Ciò ha portato il tasso di disoccupazione ad aumentare al 6,7%, il livello più alto da novembre 2014 in questa fascia di età. 
Per l’Istat è la prima volta che accade dall’inizio delle serie storiche mensili (2004). Nelle classifiche del lavoro precarizzato e povero in Italia, questo storico sorpasso sembra essere dovuto principalmente alla fine della mobilità e alla riduzione temporale degli ammortizzatori sociali decisi dal Jobs Act.

Ora, avuto il timbro di esistenza del più importante istituto di rilevazione italiano, lo dice l'Istat quindi il fenomeno esiste, chi si occupa della vite in frantumi ed in equilibrio precario di queste persone, chi li rappresenta portandone le istanze ai decisori politici ed istituzionali, nei luoghi dove si mettono in campo proposte di welfare e le politiche di sviluppo per chi da tempo è inesistente dal dibattito pubblico.




domenica 26 marzo 2017

Robert Castel: Incertezze Crescenti - gli scollegati

E poi succede che quel che hai capito e scritto lo trovi teorizzato da un grande sociologo.
Sto leggendo Incertezze Crescenti di Robert Castel, me lo ha consigliato Alfredo Cavaliere, studioso delle trasformazioni contemporanee e mio amico dai tempi dell'università. Una lettura preziosa per me e per questo blog.  Mi appassiona, è un testo complesso che sento pagina dopo pagina vicino a me. Più leggo e più mi chiedo come ho fatto a stare senza?

A pagina 23 le prima folgorazione:

"Sul piano dell’organizzazione, innanzitutto, assistiamo a una crescente individualizzazione dei compiti, la quale esige mobilità, adattabilità, assunzione di responsabilità da parte degli “operatori”, come si usa dire oggi giacché il termine “lavoratore” non è più up to date...  ,,, il collettivo di lavoro può anche essere sciolto completamente, come succede nel lavoro in rete: gli individui si collegano per la durata della realizzazione di un progetto, si scollegano quando esso è terminato, pronti in seguito a ricollegarsi diversamente per realizzare un nuovo progetto..."
... il lavoro si organizza in piccole unità che autogestiscono la loro produzione, le imprese si servono ampiamente di lavoratori interinali e a contratto, e praticano il subappalto su larga scala. I vecchi collettivi di lavoro sono cancellati e i lavoratori sono messi in concorrenza gli uni con gli altri, con effetti profondamente destrutturanti sulle solidarietà operaie..

...Le carriere professionali sono diventate discontinue e hanno smesso di essere inserite nelle regolamentazioni collettive dell’impiego stabile. È così lo statuto stesso dell’impiego a trovarsi destabilizzato attraverso la discontinuità delle traiettorie e la fluidità dei percorsi..."

Il 23 febbraio di 3 anni fa ho scritto Colleghi Scollegati  http://sillabarioprecario.blogspot.it/2014/02/colleghi-s-collegati.html
ne riporto un pezzetto, era quel che avevo capito senza conoscere gli studi e le analisi di Castel

"A ciascuno il suo contratto e quindi a ciascuno la sua trattativa personale e riservata. Con buona pace di parole conquistate nel Novecento: diritti e dignità del lavoro, contrattazione collettiva, sciopero, compenso minimo sindacale. Parole svuotate ed archiviate nel caos conveniente di 36 o forse addirittura 42 forme di contratto che regolano i rapporti di lavoro fra datori di lavoro e lavoratori.

Una giungla che genera colleghi scollegati: ci si incontra per un tempo limitato, si fa grossomodo lo stesso lavoro, nella stesso posto ma chiusi ciascuno nelle sua traiettoria personale ci si guarda bene dal condividere le informazioni su modalità e tempi d'assunzione, compiti, orari, impegno in ufficio o da remoto, compenso, in bianco, a nero.E poi non sempre c'è la corrispondenza fra quel che si fa e quel che è scritto sul contratto".

L'essere confermata da una mente infinitamente più grande ed attrezzata della mia un po' mi gratifica intellettualmente ma non colma il profondo senso di ingiustizia.




mercoledì 8 febbraio 2017

Michele: "Ho resistito finché ho potuto". Non c'é altro da aggiungere


“Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte. Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene.


Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. 


Non la posso riconoscere come mia.Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile. A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. 


È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive. Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.


Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare. Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. 


Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. 


Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie. Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. 

Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. 


Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino. 


Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.


P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.

Ho resistito finché ho potuto”.