giovedì 20 settembre 2012

6 dicembre 1993: Antonio Bassolino e la primavera dei giovani di allora, precari di oggi

Antonio Bassolino e la generazione di mezzo; Antonio Bassolino e i precari di oggi cresciuti negli anni del Pentapartito. Antonio Bassolino e me. Non doveva andare così.  

Negli anni di quell'orgogliosa rinascita partenopea, molti di noi, sotto i trent'anni restarono qui, perchè l'orizzonte si annunciava pieno di speranza. Oggi, nella stagione della maturità, dico, e non mi piace per niente dirlo, che Antonio Bassolino ha una severa colpa politica, rispetto alla condizione di precarietà in cui siamo.

Napoli non è la mia città, ma ci vivo da abbastanza tempo per ricordare le giunte D'Amato, Lezzi, Polese, Tagliamonte, figlie degli accordi di una potente entità immateriale fatta di democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali: si chiamava Pentapartito.
Quando l'accordo saltava arrivava il commissario di Governo.

Così fino al 6 dicembre 1993. Io c'ero quella notte a Piazza San Domenico. Napoli, con l'elezione diretta del primo cittadino, ebbe un nuovo sindaco. Antonio Bassolino, uomo schivo, poco incline al sorriso, curriculum tutto declinato nel Partito Comunista; uomo d'apparato si disse. Fece una campagna elettorale tesa e appassionata senza concedere niente alla ruffianeria; la città era stremata dal clietelismo. 

I napoletani lo scelsero. 

Quella notte di dicembre dalla temperatura mite, ci sembrò primavera. E primavera fu. Era per me l'età delle scelte: decidere ad esempio il luogo dove immaginare il futuro. Restare a Napoli non fu una scelta decisa a tavolino ma la conseguenza naturale di quella stagione primaverile.

Piazza Plebiscito che da enorme parcheggio, viene restituita nella sua bellezza al piacere di attraversarla a piedi fu, ed è ancora, l'emblema di quello che fu definito e conosciuto in tutt'Italia come il Rinascimento Napoletano. Anche chi l'ha vissuto oggi tende a rimuoverlo. 
Non sono fra questi. Mi piace dire io c'ero e ribadire che me lo ricordo benissimo.

L'apertura del portone, che collegava Palazzo Serra di Cassano al Palazzo Reale,  nel duecentesimo anniversario del sacrificio dei martiri della rivoluzione napoletana, fu un evento di altissima emozione pubblica.Il cortile traboccava di gente; sembrava che tutta la città fosse lì, l'indomani Il Manifesto  fece una bellissima prima pagina.

Non solo di simboli si nutriva, tuttavia, la nostra speranza. 

Sono stata di recente a Città della Scienza, Bagnoli, ex Italsider. C'è un'atmosfera di triste decadenza, di incuria; eppure nei tre lustri segnati dalla gestione Bassolino e del bassolinismo a quel territorio furono associate le parole, bonifica, riqualificazione ambientale, sviluppo, strutture per congressi, sport, accoglienza turistica. in una parola lavoro. Non c'è traccia di tutto ciò. Solo molte carte: fra delibere, atti di convegni, studi, progetti. E la vita delle persone non è cambiata per effetto di tanta solerte programmazione.

Lo sviluppo annunciato, nel caso di Bagnoli, come in altri, non ha generato lavoro, benessere, reddito. Senso di appartenza a quella stagione politica.

Per contrappasso chi ha beneficiato di un posto di lavoro secondo le logiche dell'epoca pre Tangentopoli, quando comandava il Pentapartito, non solo se lo ricorda ma nutre anche una gratitudine verso quel sistema.

Un sistema fatto di consenso malato,  che Antonio Bassolino ha combattuto ma non ha sostituito. Non ha creato condizioni e occasioni di sviluppo.
Non ha saputo farlo? Non ha voluto farlo? Non ha potuto farlo?
Non so, quel che so è che non doveva andare così.

In realtà quella notte di dicembre incombeva l' inverno anche se ci sembrò primavera.

giovedì 6 settembre 2012

Giornalisti perduti della generazione di mezzo: lunedi 17 settembre appuntamento a Napoli


Ci chiamano freelance, collaboratori occasionali, parasubordinati. Lavoriamo con la partita iva, collaboriamo a progetto. Molto spesso il nostro è un lavoro stabile con compensi men che minimi e garantiamo l'informazione plurale, corretta, puntuale. Siamo giornalisti. Siamo precari.
Laura Viggiano rappresentante della Campania nella Commissione nazionale Lavoro Autonomo della Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha organizzato per lunedì  17 settembre, nelle sale dell'Istituto degli Studi Filosofici di Napoli, ore 10.30 un incontro per sollecitare l'approvazione di una legge che garantisca l'equo compenso. A discutere delle proposte di legge in materia, che sono ferme in Senato, sono stati invitati tutti i parlamentari eletti in Campania che si confronteranno con i rappresentanti nazionali dell'Ordine dei Giornalisti e del sindacato.
"Sono i giornalisti che tengono in piedi molte nostre testate grazie ad un lavoro di qualità pagato una minima parte di quello dei «grandi vecchi»"
Così Irene Tinagli su  http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&
Di tutti gli esempi che l'economista fa, intervendo nel dibattito sulla generazione di mezzo, che si è imposta all'attenzione dei media e del presidente Monti grazie alla rete attivata dal Manifesto della Generazione Perduta, non posso che scegliere questo.

Sono io, una fra tanti e tante che tante volte si è chiesta, come tutti i colleghi precari: ma se domani nessun collaboratore si  decidesse a non collaborare per la testata cui offre il suo lavoro qualificato ma sottopagato, nella speranza di un'assunzione. Un giorno.

Un giorno che si fa sempre più lontano e nebuloso. Con gli anni che passano e tu che da giovane giornalista, diventi cronista, fino alla consapevolezza piena, certificata  dall'esperienza e dall'albo, che non fai la giornalista ma sei giornalista. E allora se sono quel che faccio posso ben decidere di non collaborare.
Di non "prestare la propria opera per un'attività collettiva" secondo la definizione del Sabatini Coletti. Servizi mancanti nei tg? buchi nelle agenzie? Spazi bianchi nei quotidiani?. Niente affatto.

Perchè la nostra è una professione che ha un tratto forte di individualismo; ognuno costruisce il suo percorso di carriera da solista. Le nostre ragioni da precari, non sappiamo renderle notiziabili e certo è larghissima la  rete di solidarietà dei giornalisti accorsati, le grandi firme che tanto ci piace condividere e commentare sui social network e che non ricambiano mai, immersi come sono nel ruolo. In quanto ai colleghi contrattualizzati che incontriamo tutti i giorni, solidarizzano lamentandosi del super lavoro che "subiscono" nelle redazioni.

Vorrei sapere quanti giornalisti precari hanno sottoscritto il http://www.generazioneperduta.it/il-manifesto-della-generazione-perduta/ e quanti ne parlano sui blog e attraverso i loro profili social.
Alcune testate e tv ne hanno parlato. Sono sicura che ancora se ne parlerà e tocca soprattutto  a noi farlo.

sabato 1 settembre 2012

Siamo tutti minatori

Sono  figlia di un minatore. Stasera a Piazza Pulita ho visto la gabbia. L'ascensore che dalla luce ti porta a lavorare nelle viscere della terra. Ne ho sentito parlare tante volte nei primi anni della mia vita; eravamo in Belgio dove sono nata e dove mio padre emigrato, è stato minatore per 7 anni nella regione del Limburgo.

L'ansia di scendere giù nel sottosuolo senza la certezza di riveder la luce, raccontata stasera dai minatori del Sulcis, l'ho appresa dai giovani volti dei miei genitori; mio padre faceva il turno di notte, andava in miniera in bicicletta, ricordo la luce rossa sulla ruota allontanarsi nel buio.

Inspiegabilmente per lui, nonostante questo sacrificio sottoterra, questo tempo di precarietà e di incertezze ci fa vivere peggio di quelli della sua generazione che avevano meno mezzi ma più speranze. Noi abbiamo studiato di più, abbiamo visto, saputo, conosciuto di più eppure stiamo peggio. Siamo i primi a star peggio dei nostri genitori. Per lui è un rompicapo. Non scendeva in miniera per questo.

Domani, nell'ultimo giorno di agosto, a Roma, al Ministero dello Sviluppo Economico, si decide del destino della Carbosulcis; mi auguro un confronto con soluzioni possibili e non assistenzialiste; una decisione frutto di una politica industriale moderna, che contemperi il diritto al lavoro, il rispetto dell'ambiente e della salute, le regole di una produttività competitiva. Insomma un progetto  adatto  ai tempi contemporanei.

E che i minatori sardi, sottoterra per esasperazione e per protesta da quattro giorni, possano rimettersi nella gabbia per risalire verso la luce, tornare a casa e poi riprendere la gabbia e scendere a lavorare.