Antonio Bassolino e la generazione di mezzo; Antonio Bassolino e i precari di oggi cresciuti negli anni del Pentapartito. Antonio Bassolino e me. Non doveva andare così.
Negli anni di quell'orgogliosa rinascita partenopea, molti di noi, sotto i trent'anni restarono qui, perchè l'orizzonte si annunciava pieno di speranza. Oggi, nella stagione della maturità, dico, e non mi piace per niente dirlo, che Antonio Bassolino ha una severa colpa politica, rispetto alla condizione di precarietà in cui siamo.
Napoli non è la mia città, ma ci vivo da abbastanza tempo per ricordare le giunte D'Amato, Lezzi, Polese, Tagliamonte, figlie degli accordi di una potente entità immateriale fatta di democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali: si chiamava Pentapartito.
Quando l'accordo saltava arrivava il commissario di Governo.
Così fino al 6 dicembre 1993. Io c'ero quella notte a Piazza San Domenico. Napoli, con l'elezione diretta del primo cittadino, ebbe un nuovo sindaco. Antonio Bassolino, uomo schivo, poco incline al sorriso, curriculum tutto declinato nel Partito Comunista; uomo d'apparato si disse. Fece una campagna elettorale tesa e appassionata senza concedere niente alla ruffianeria; la città era stremata dal clietelismo.
I napoletani lo scelsero.
Quella notte di dicembre dalla temperatura mite, ci sembrò primavera. E primavera fu. Era per me l'età delle scelte: decidere ad esempio il luogo dove immaginare il futuro. Restare a Napoli non fu una scelta decisa a tavolino ma la conseguenza naturale di quella stagione primaverile.
Piazza Plebiscito che da enorme parcheggio, viene restituita nella sua bellezza al piacere di attraversarla a piedi fu, ed è ancora, l'emblema di quello che fu definito e conosciuto in tutt'Italia come il Rinascimento Napoletano. Anche chi l'ha vissuto oggi tende a rimuoverlo.
Non sono fra questi. Mi piace dire io c'ero e ribadire che me lo ricordo benissimo.
L'apertura del portone, che collegava Palazzo Serra di Cassano al Palazzo Reale, nel duecentesimo anniversario del sacrificio dei martiri della rivoluzione napoletana, fu un evento di altissima emozione pubblica.Il cortile traboccava di gente; sembrava che tutta la città fosse lì, l'indomani Il Manifesto fece una bellissima prima pagina.
Non solo di simboli si nutriva, tuttavia, la nostra speranza.
Sono stata di recente a Città della Scienza, Bagnoli, ex Italsider. C'è un'atmosfera di triste decadenza, di incuria; eppure nei tre lustri segnati dalla gestione Bassolino e del bassolinismo a quel territorio furono associate le parole, bonifica, riqualificazione ambientale, sviluppo, strutture per congressi, sport, accoglienza turistica. in una parola lavoro. Non c'è traccia di tutto ciò. Solo molte carte: fra delibere, atti di convegni, studi, progetti. E la vita delle persone non è cambiata per effetto di tanta solerte programmazione.
Lo sviluppo annunciato, nel caso di Bagnoli, come in altri, non ha generato lavoro, benessere, reddito. Senso di appartenza a quella stagione politica.
Per contrappasso chi ha beneficiato di un posto di lavoro secondo le logiche dell'epoca pre Tangentopoli, quando comandava il Pentapartito, non solo se lo ricorda ma nutre anche una gratitudine verso quel sistema.
Un sistema fatto di consenso malato, che Antonio Bassolino ha combattuto ma non ha sostituito. Non ha creato condizioni e occasioni di sviluppo.
Non ha saputo farlo? Non ha voluto farlo? Non ha potuto farlo?
Non so, quel che so è che non doveva andare così.
In realtà quella notte di dicembre incombeva l' inverno anche se ci sembrò primavera.
Non ha saputo farlo? Non ha voluto farlo? Non ha potuto farlo?
Non so, quel che so è che non doveva andare così.
In realtà quella notte di dicembre incombeva l' inverno anche se ci sembrò primavera.