giovedì 14 novembre 2013

Guerra contemporanea

Un giorno diremo che abbiamo combattuto la nostra personale e solitaria guerra. Lo diremo a chi è venuto o verrà dopo di noi. Figli e nipoti, ragazzi spensierati.
Gli diremo che nel secondo decennio del secondo millennio ci siamo adattati in una guerra a bassa intensità senza un nemico visibile da colpire. Lavori a singhiozzo con contratti pieni di obblighi e vuoti di diritti.

Verrà il dopoguerra e noi diremo di questo tempo fatto di un continuo uniformasi  ad un eterno presente cui non segue un futuro.

Racconteremo della rabbia dell'incertezza e delle dignità calpestate da nemici che cambiano come bersagli mobili.
I garantiti dentro il cerchio dei contratti di una volta quelli che un lavoro dura una vita; i figli di chi  tanto una soluzione fra le reti familiari o amicali la trovano comunque, una classe dirigente che calpesta la dignità di chi è rimasto fuori dal cerchio.
Malgrado l'impegno che ci abbiamo messo e ci mettiamo siamo in guerra disarmati.

Un giorno lo racconteremo come hanno fatto i miei nonni con me quando mi ripetevano della povertà dei tempi di guerra, della miseria del dopoguerra, del credere negli anni '50 e negli anni '60 che il futuro sarebbe stato migliore. E migliore fu. Sacrifici per comprare casa, il televisore, l'automobile; sacrifici per la settimana al mare, la scuola per i figli....

Negli anni del boom economico siamo nati noi, la prima generazione che non potrà donare ai figli tutto quel che i nostri genitori hanno donato a noi: la spensieratezza delle vacanze e il valore dell'istruzione; l'investimento in un tetto e un po' di sudato risparmio per il futuro.

Quel futuro è questo nostro presente precario; questa nostra guerra a bassa intensità che non vuol saperne di passare.
E quando passerà ci avrà talmente segnato l'anima e la memoria che avremo tutte le parole per trasformarlo in un racconto di dopoguerra.



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