mercoledì 12 dicembre 2012

Il legame spezzato: sociale senza società

La camorra uccide a Napoli, quartiere  Scampìa nel cortile di un asilo mentre i bambini provano la recita di Natale. Parte lo sdegno e per tener desta l'attenzione si tengono accese le luci nelle scuole per una notte. La sacralità dei bambini e  l'autorevolezza della scuola violati  vengono difese facendo luce.

A Scampìa da anni funziona il centro sociale Mammut, non ha più soldi per accogliere i mille bambini del quartiere assediato dalle regole della camorra. Mammut è un presidio di legalità e rischia di chiudere, per non farlo chiede aiuto a Riccardo Dalisi, artista del ferro che firma pezzi unici da vendere per recuperare risorse.
E' Natale, diamo una mano per tenere accese le luci del Mammut.

E' un'impietosa schizzofrenia, una doppia diagnosi cattiva.
Ma allora queste luci a Scampìa le vogliamo tenere accese o le vogliamo spegnere per sempre?

E' un grido strozzato, non si sente. E ognuno se lo tiene dentro per conto suo. E' il grido di ogni educatore, operatore, volontario, professionista del Terzo Settore partenopeo. Centri, servizi, casefamiglia, sportelli di ascolto stanno chiudendo soffocati dalla mancanza dei fondi pubblici. Il ritornello è sempre lo stesso: non ci sono soldi.

Fra poco è Natale e come ogni anno, parrocchie, scuole,luoghi di lavoro si affolleranno di aste, vendite di beneficenza, iniziative di dono e condivisione.
Si farà anche quest'anno ma quest'anno è diverso, non si chiede di fare una donazione per essere sostenuti, si chiede di donare anche un solo euro per non morire. Per non chiudere.

Con un senso di assurda precarietà che si raddoppia come in uno specchio malefico.

I servizi chiudono e si fanno precarie le condizioni di vita di tutte le persone che vi trovano ricovero: bambini a rischio di esclusione sociale, anziani che che non sono autonomi; donne maltrattate, i diversamente abili che hanno bisogno di sostegno per recuperare autonomia, i disagiati psichici, chi è rimasto senza un tetto sulla testa e chi sta per finire per strada perché bussa alla porta l'ordinanza di sfratto o la lettera del licenziamento.

I servizi chiudono e si fanno precarie le condizioni di vita di tanti lavoratori del settore sociale: educatori, psicologi, operatori di comunità e sociosanitari, medici, sociologi, assistenti sociali.... Si resta senza lavoro e si disperde tutto un bagaglio di competenze, relazioni, professionalità, studi, relazioni fra persone.

venerdì 23 novembre 2012

Primarie centrosinistra, #politicalimpida: Laura per Laura

Scelgo Laura Puppato perchè rispetto alla precarietà propone la gradualità della tutela e la  creazione di un solo tipo di contratto a termine.
Ma non è la sola ragione che mi ha spinto a sostenerla nella competizione delle Primarie del Centrosinistra. E' questione di coerenza.

Personale e professionale. 

Andiamo dicendo da tempo che le donne non hanno spazio nei luoghi di decisione e gestione. Non vengono indicate e scelte  per ruoli di responsabilità e non vengono candidate per essere elette. Il potere è una cosa da uomini. E perchè una donna si segga bisogna che un uomo si alzi. E infatti nel caso di Laura Puppato non si è alzato nessuno, si è fatta avanti incoraggiata da Concita de Gregorio firma autorevole di Repubblica. 

Bel tandem di una donna che riconosce l'autorevolezza in un'altra. E qui si scioglie un nodo della relazione fra donne. Dicono che non ci riconosciamo tra noi. Non è questo il caso. Mi piace questa modalità, la voto.

Nella bella assemblea femminista "Primum Vivere" di Paestum, Marina Terragni, penna brillante di Io Donna, ne ha fatto un filo dei discorsi intessuti intorno alla questione della rappresentaza femminile. In quel gruppo di lavoro mi confronto con le altre, ora una donna che si fa avanti c'è, la stavamo aspettando. Si aggiungono tasselli della sua biografia: brava sindaca in territorio leghista, concreta, ambientalista, sguardo genuino ma non ingenuo. La voto.

Da anni scrivo di donne, l'informazione di genere è un punto di vista professionale che pratico con convinzione: l'ho fatto per l'Ansa lavorando al primo ed unico notiziario dedicato alle pari opportunità, proposto da una agenzia generalista; per il Paese delle Donne e per Noi Donne, riviste storiche del femminismo italiano; lo faccio per Comunicare il Sociale - Corriere della Sera, giovane testata specializzata e preziosa rete informativa del Terzo Settore.
L'assenza delle donne nelle assemblee elettive e nelle istituzioni è una questione cruciale. Non posso solo continuare a scriverne. La scrittura militante non toglie niente al rispetto che ho per il mio mestiere. Anzi. La voto.

Sono iscritta al Partito Democratico, credo che l'Italia abbia bisogno di una forza capace di declinare ed intrecciare i valori della sinistra riformista e del cattolicesimo democratico. Lo scenario delle primarie dei candidati e dei media mi è parso subito falsato: polarizzare tra Bersani e Renzi o al massimo a Vendola era una falsa partenza. Votarne uno per non far vincere l'altro è  uno spauracchio che mi urta. A Napoli dove vivo, la classe dirigente del pd non può permettersi questo ragionamento. Le "democratiche" partenopee bravissime redattrici di documenti, appelli, piani di azione, conferenze e varie sulla rappresentanza di genere hanno ignorato la candidatura di Laura Puppato. Ho scritto tante volte di tutta la loro attività politica sul tema, ora la lasciano su carta. Io la Puppato la voto, loro no.

Solo da ultimo ma non perchè sia l'ultimo dei miei pensieri, sono andata a guardarmi le proposte di Laura sulla precarietà; è un punto di partenza che mi convince e sono sicura che ne parleremo ancora, noi del Comitato Napoli per Laura Puppato insieme a lei che ci verrà a trovare presto:  la forza che ha aggregato nel Paese in quest'esperienza non andrà dispersa. Lascio qui un passaggio del suo programma dedicato alla precarietà.

 "Il lavoro precario mina la coesione sociale del Paese. Lo sfruttamento di giovani e meno giovani genera instabilità economica e rende incerto il futuro. Nei i casi in cui il contratto a tempo indeterminato non risponde in pieno alle esigenze organizzative dell’imprenditore, si possono introdurre misure controllate di flessibilità che soddisfino le necessità aziendali senza tuttavia pregiudicare gli interessi dei lavoratori. La strada da seguire è quella della gradualità della tutela: più lungo è il periodo di lavoro, più stabile diventa l’impiego.
Va comunque riformata completamente la normativa sui contratti a termine, abolendo tutti quelli in vigore e creandone uno soltanto, ben strutturato, destinato alle attività di durata davvero limitata (perché stagionali o realmente brevi), prevedendo sanzioni severe per quei datori di lavoro che dovessero servirsi di lavoratori “a termine” per lo svolgimento di attività ordinarie. Il contratto di breve durata dovrà in ogni caso essere meglio retribuito rispetto a quello ordinario."

giovedì 20 settembre 2012

6 dicembre 1993: Antonio Bassolino e la primavera dei giovani di allora, precari di oggi

Antonio Bassolino e la generazione di mezzo; Antonio Bassolino e i precari di oggi cresciuti negli anni del Pentapartito. Antonio Bassolino e me. Non doveva andare così.  

Negli anni di quell'orgogliosa rinascita partenopea, molti di noi, sotto i trent'anni restarono qui, perchè l'orizzonte si annunciava pieno di speranza. Oggi, nella stagione della maturità, dico, e non mi piace per niente dirlo, che Antonio Bassolino ha una severa colpa politica, rispetto alla condizione di precarietà in cui siamo.

Napoli non è la mia città, ma ci vivo da abbastanza tempo per ricordare le giunte D'Amato, Lezzi, Polese, Tagliamonte, figlie degli accordi di una potente entità immateriale fatta di democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali: si chiamava Pentapartito.
Quando l'accordo saltava arrivava il commissario di Governo.

Così fino al 6 dicembre 1993. Io c'ero quella notte a Piazza San Domenico. Napoli, con l'elezione diretta del primo cittadino, ebbe un nuovo sindaco. Antonio Bassolino, uomo schivo, poco incline al sorriso, curriculum tutto declinato nel Partito Comunista; uomo d'apparato si disse. Fece una campagna elettorale tesa e appassionata senza concedere niente alla ruffianeria; la città era stremata dal clietelismo. 

I napoletani lo scelsero. 

Quella notte di dicembre dalla temperatura mite, ci sembrò primavera. E primavera fu. Era per me l'età delle scelte: decidere ad esempio il luogo dove immaginare il futuro. Restare a Napoli non fu una scelta decisa a tavolino ma la conseguenza naturale di quella stagione primaverile.

Piazza Plebiscito che da enorme parcheggio, viene restituita nella sua bellezza al piacere di attraversarla a piedi fu, ed è ancora, l'emblema di quello che fu definito e conosciuto in tutt'Italia come il Rinascimento Napoletano. Anche chi l'ha vissuto oggi tende a rimuoverlo. 
Non sono fra questi. Mi piace dire io c'ero e ribadire che me lo ricordo benissimo.

L'apertura del portone, che collegava Palazzo Serra di Cassano al Palazzo Reale,  nel duecentesimo anniversario del sacrificio dei martiri della rivoluzione napoletana, fu un evento di altissima emozione pubblica.Il cortile traboccava di gente; sembrava che tutta la città fosse lì, l'indomani Il Manifesto  fece una bellissima prima pagina.

Non solo di simboli si nutriva, tuttavia, la nostra speranza. 

Sono stata di recente a Città della Scienza, Bagnoli, ex Italsider. C'è un'atmosfera di triste decadenza, di incuria; eppure nei tre lustri segnati dalla gestione Bassolino e del bassolinismo a quel territorio furono associate le parole, bonifica, riqualificazione ambientale, sviluppo, strutture per congressi, sport, accoglienza turistica. in una parola lavoro. Non c'è traccia di tutto ciò. Solo molte carte: fra delibere, atti di convegni, studi, progetti. E la vita delle persone non è cambiata per effetto di tanta solerte programmazione.

Lo sviluppo annunciato, nel caso di Bagnoli, come in altri, non ha generato lavoro, benessere, reddito. Senso di appartenza a quella stagione politica.

Per contrappasso chi ha beneficiato di un posto di lavoro secondo le logiche dell'epoca pre Tangentopoli, quando comandava il Pentapartito, non solo se lo ricorda ma nutre anche una gratitudine verso quel sistema.

Un sistema fatto di consenso malato,  che Antonio Bassolino ha combattuto ma non ha sostituito. Non ha creato condizioni e occasioni di sviluppo.
Non ha saputo farlo? Non ha voluto farlo? Non ha potuto farlo?
Non so, quel che so è che non doveva andare così.

In realtà quella notte di dicembre incombeva l' inverno anche se ci sembrò primavera.

giovedì 6 settembre 2012

Giornalisti perduti della generazione di mezzo: lunedi 17 settembre appuntamento a Napoli


Ci chiamano freelance, collaboratori occasionali, parasubordinati. Lavoriamo con la partita iva, collaboriamo a progetto. Molto spesso il nostro è un lavoro stabile con compensi men che minimi e garantiamo l'informazione plurale, corretta, puntuale. Siamo giornalisti. Siamo precari.
Laura Viggiano rappresentante della Campania nella Commissione nazionale Lavoro Autonomo della Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha organizzato per lunedì  17 settembre, nelle sale dell'Istituto degli Studi Filosofici di Napoli, ore 10.30 un incontro per sollecitare l'approvazione di una legge che garantisca l'equo compenso. A discutere delle proposte di legge in materia, che sono ferme in Senato, sono stati invitati tutti i parlamentari eletti in Campania che si confronteranno con i rappresentanti nazionali dell'Ordine dei Giornalisti e del sindacato.
"Sono i giornalisti che tengono in piedi molte nostre testate grazie ad un lavoro di qualità pagato una minima parte di quello dei «grandi vecchi»"
Così Irene Tinagli su  http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&
Di tutti gli esempi che l'economista fa, intervendo nel dibattito sulla generazione di mezzo, che si è imposta all'attenzione dei media e del presidente Monti grazie alla rete attivata dal Manifesto della Generazione Perduta, non posso che scegliere questo.

Sono io, una fra tanti e tante che tante volte si è chiesta, come tutti i colleghi precari: ma se domani nessun collaboratore si  decidesse a non collaborare per la testata cui offre il suo lavoro qualificato ma sottopagato, nella speranza di un'assunzione. Un giorno.

Un giorno che si fa sempre più lontano e nebuloso. Con gli anni che passano e tu che da giovane giornalista, diventi cronista, fino alla consapevolezza piena, certificata  dall'esperienza e dall'albo, che non fai la giornalista ma sei giornalista. E allora se sono quel che faccio posso ben decidere di non collaborare.
Di non "prestare la propria opera per un'attività collettiva" secondo la definizione del Sabatini Coletti. Servizi mancanti nei tg? buchi nelle agenzie? Spazi bianchi nei quotidiani?. Niente affatto.

Perchè la nostra è una professione che ha un tratto forte di individualismo; ognuno costruisce il suo percorso di carriera da solista. Le nostre ragioni da precari, non sappiamo renderle notiziabili e certo è larghissima la  rete di solidarietà dei giornalisti accorsati, le grandi firme che tanto ci piace condividere e commentare sui social network e che non ricambiano mai, immersi come sono nel ruolo. In quanto ai colleghi contrattualizzati che incontriamo tutti i giorni, solidarizzano lamentandosi del super lavoro che "subiscono" nelle redazioni.

Vorrei sapere quanti giornalisti precari hanno sottoscritto il http://www.generazioneperduta.it/il-manifesto-della-generazione-perduta/ e quanti ne parlano sui blog e attraverso i loro profili social.
Alcune testate e tv ne hanno parlato. Sono sicura che ancora se ne parlerà e tocca soprattutto  a noi farlo.

sabato 1 settembre 2012

Siamo tutti minatori

Sono  figlia di un minatore. Stasera a Piazza Pulita ho visto la gabbia. L'ascensore che dalla luce ti porta a lavorare nelle viscere della terra. Ne ho sentito parlare tante volte nei primi anni della mia vita; eravamo in Belgio dove sono nata e dove mio padre emigrato, è stato minatore per 7 anni nella regione del Limburgo.

L'ansia di scendere giù nel sottosuolo senza la certezza di riveder la luce, raccontata stasera dai minatori del Sulcis, l'ho appresa dai giovani volti dei miei genitori; mio padre faceva il turno di notte, andava in miniera in bicicletta, ricordo la luce rossa sulla ruota allontanarsi nel buio.

Inspiegabilmente per lui, nonostante questo sacrificio sottoterra, questo tempo di precarietà e di incertezze ci fa vivere peggio di quelli della sua generazione che avevano meno mezzi ma più speranze. Noi abbiamo studiato di più, abbiamo visto, saputo, conosciuto di più eppure stiamo peggio. Siamo i primi a star peggio dei nostri genitori. Per lui è un rompicapo. Non scendeva in miniera per questo.

Domani, nell'ultimo giorno di agosto, a Roma, al Ministero dello Sviluppo Economico, si decide del destino della Carbosulcis; mi auguro un confronto con soluzioni possibili e non assistenzialiste; una decisione frutto di una politica industriale moderna, che contemperi il diritto al lavoro, il rispetto dell'ambiente e della salute, le regole di una produttività competitiva. Insomma un progetto  adatto  ai tempi contemporanei.

E che i minatori sardi, sottoterra per esasperazione e per protesta da quattro giorni, possano rimettersi nella gabbia per risalire verso la luce, tornare a casa e poi riprendere la gabbia e scendere a lavorare.

giovedì 30 agosto 2012

agosto

Agosto non è crudele. È feroce. Si presenta come un mese del passato e ti costringe a ricordare. Ferocemente smette di essere tutto ciò che era. Aspettavo agosto tutto l'anno da bambino. La spiaggia, i templi di Paestum, la sensazione che tutto l'anno valesse la pena viverlo per rotolarsi nel bagnasciuga con mio fratello, con i miei cugini. La sensazione che la vita vera fosse agosto. L'attesa dell'agosto più bella dell'agosto persino. Vivere agosto da adulti non vale la pena. Ora agosto è solo un mese di promesse non mantenute, la dimostrazione che la vita ti ha tradito e quello che ti aspettavi non arriva. Come una generazione che credeva di poter vivere meglio dei propri genitori e invece vive peggio, assai peggio. Agosto era il mese dove riuscivi a prendere tutto ciò che di bello concepivi. Ora arriva e raccoglie esattamente le briciole dell'intero anno. Agosto ormai è solo un modo, come direbbe Chaillet, per essere infelici in modo molto romantico.

mercoledì 29 agosto 2012

Rispetto: può rifiorire?


Rispetto. Rispetto delle scelte, rispetto del proprio mestiere, rispetto delle regole di accesso alla professione ,  rispetto dei ruoli. Siamo così in mezzo, talmente una generazione di mezzo da non sapere più se sia un valore da praticare o da rivendicare.   Con quella sensazione perenne dell’essere fuori da un invisibile cerchio; dove non sempre chi  è dentro è più bravo di te.

Visto da Sud, quel cerchio è popolato spesso da persone incapaci ma ben introdotte, dotati del cognome e del lasciapassare giusti. Il posto fisso è stato un inesauribile merce di scambio nel sottobosco della politica locale che ha creato, fedeltà  ad un consenso fatto di riconoscenza malata; e di rispetto malato.  Senza alcun rispetto per le regole elementari di convivenza civile.  

Intanto eccoci, ci siamo: in una condizione comune di persone mature ma non più giovani, nel pieno di un’età produttiva e riproduttiva, in una ambiente ostile che ci emargina dalla produzione e negandoci la pienezza dell’essere genitori capaci dell’orgoglio di tirar su i figli con la dignità del proprio lavoro.  E noi nell’incertezza di un eterno salto nel buio: di contratto in contratto che non sai mai se ti verrà rinnovato; di retribuzioni che slittano di mesi ed anche di anni; di tempo che passa e lascia spazio a quelli più giovani di te, sfruttati  quanto te o di più, se possibile.

E  allora quello da riprenderci e da rinvigorire è il rispetto per se stessi che è stato il primo ad affievolirsi; è attenuato, ma è lì, toccherà farlo rifiorire. Solo nella consapevolezza del rispetto di noi stessi, del sapere che siamo in tanti  a combattere una guerra personale che sta diventando storia collettiva potremo chiedere il rispetto di chi è chiamato a decidere le politiche pubbliche di crescita e di sviluppo del Paese.

martedì 21 agosto 2012

Monti e la Generazione Perduta, al Meeting di Rimini: "dobbiamo fare tutto il possibile affinchè il Paese non vi perda"

 Il Presidente del Consiglio Mario Monti,  aprendo il  Meeting di CL a Rimini è ritornato al suo riferimento a noi, generazione perduta, dedicandoci un ampio passaggio, lo riporto qui con molto piacere, perchè è un'iniezione di coraggio, prima ancora che un bel segnale che ci dà quel che ci serve in questo momento: la voglia di andare avanti, ora che abbiamo detto,  in giorni di vacanze, solo per chi le vacanze ha potuto permettersele, siamo qui; ci tocca andare avanti e tutti insieme mettere a disposizione le nostre energie e idee migliori.

"Vedete, quando in un’intervista rilasciata poche settimane fa ho parlato di “generazione perduta”, non ho fatto altro che constatare con crudezza – a volte è necessaria anche quella – una realtà che è davanti agli occhi di tutti: lo “sperpero” di una intera generazione di persone che oggi giovani non lo sono più, alcuni di loro hanno superato i 40 anni d’età, e che pagano le conseguenze gravissime della scarsa lungimiranza di chi, prima di me, non ha onorato il dovere di impegnarsi per loro. Un’intera generazione che paga un conto salatissimo.
Una generazione che, ci tengo a precisare, non considero perduta perché priva di mezzi o capacità. Al contrario, trovo che la perdita, gravissima, di capitale umano abbia nuociuto fortemente al Paese, in parte per l’emorragia di professionisti e studiosi che hanno scelto di vivere all’estero, in parte per le mancate opportunità di coloro che, benché meritevoli, sono rimasti in Italia, senza trovare adeguate soddisfazioni professionali.
È questa la perdita generazionale a cui facevo riferimento. Una perdita che danneggia tutti noi, non solo i diretti interessati, a cui non mancano né energie né competenze. Apprendo che, a seguito della mia dichiarazione, molti appartenenti alla fascia d’età compresa tra i 30 e i 40 anni hanno reagito, siglando un vero e proprio manifesto in cui spiccano parole portanti come merito, rispetto, impegno e fiducia. È la conferma di quanto ho appena detto: abbiamo un capitale umano eccellente, al quale le “batoste” di questi anni non hanno tolto la voglia di proporre e di partecipare alla vita del Paese. 

Dobbiamo fare tutto quanto è possibile affinché il Paese non perda anche voi e, anzi, affinché possiate essere una risorsa preziosa per la nostra economia e per il sociale, ma soprattutto perché restiate sempre vivaci come siete oggi, perché possiate mantenere lo stesso fuoco nello sguardo, la stessa curiosità.".

mercoledì 15 agosto 2012

Nè perduti, nè ritrovati: consapevoli

Oggi ho incontrato,  lungo le strade della rete Ernesto Belisario, uno dei promotori del manifesto della generazione perduta, la lettura delle sue analisi su http://www.leggioggi.it/2012/08/14/tre-cose-che-su-generazioneperduta/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter; mi piace da qui confrontarmi con lui.
Non sono sola, non siamo, soli e, soprattutto non siamo colpevoli.  Ecco cosa ho  provato appena l'ho visto,  il manifesto;  l'ho anche  scritto un po' sinteticamente, nelle prime reazioni, voglio articolarlo meglio.

Se nasci, cresci, ti formi e scegli un mestiere in un tempo in cui è normale seguire una filiera precisa: studio, gavetta, aspirazione ad un lavoro per la vita, ci metti poi un po' a capire che non sarà così, le cose cambiano mentre sei in corsa, è come entrare in gara con delle regole e mentre giochi la tua partita l'arbitro se ne va, i tempi raddoppiano e l'avversario arriva armato. Si è cominciato invitandoci alla flessibilità, e tu pensi di non essere mai abbastanza flessibile e neanche sufficientemente armato. Sola.  Intanto ti senti solo perchè la precarietà sembra aver colpito solo te. Perchè è una condizione che ciascuno-a si vive a casa sua coltivando rigogliosi grovigli di inadeguatezza, senso di colpa, frustrazione.

Ora la messa a punto di un manifesto se pure non dovesse ottenere risultati 'politici' (che non è per me una brutta parola, anzi) ha il merito di aver indicato la condizione di milioni di persone e di aver fatto fluire la linfa della consapevolezza. Come un balsamo sono sicura sbloccherà quel senso di inadeguatezza individuale che potrà trasformarsi in un'energia positiva.

Ci si accusa e si precisa che non abbiamo intenti rivendicativi: a me onestamente rivendicare non sembra un verbo che chiede giustificazione; non godremmo di tanti diritti civili oggi se non fossero stati rivendicati prima di noi.
Qualcuno ha scritto che si tratta di un'iniziativa che durerà lo spazio agostano, io non lo spero e non lo credo: certo dipenderà da quali contenuti ed obiettivi  vorrà e saprà alimentarsi; che non è nostalgia del posto fisso (che male ci sarebbe?) del resto non posso desiderare quel che non ho conosciuto, ma condizioni più eque di contratto, di pagamento, di fiducia verso il futuro, questo sì.

Sono i nostri diritti di cittadinanza. E di visibilità: qui al Sud, più che altrove,  lo abbiamo visto il voto di scambio one to one: preferenze per posto fisso, pensioni di invalidità finte, integrazioni di reddito varie. E a furia di saccheggiare così denaro, amministrazione, posti pubblici; non è rimasto più nulla; nulla di sano. Solo diffidenza verso il Pubblico, lo Stato, la Politica,

Non voglio parlare ora di candidati alle elezioni politiche,  carichi di promesse, al prossimo giro il loro armamentario sarà spuntatissimo.

Il manifesto parla invece ai decision makers, il Governo Monti è vero è chiamato a tenere insieme il sistema Paese cercando di portarlo fuori dalle secche che non ha causato. I parlamentari, le persone che compongono i partiti, hanno responsabilità e devono prendersi la responsabilità di registrare la nostra esistenza.

Perchè questo è il primo, importante obiettivo raggiunto dal manifesto della Generazione Perduta: ci ha restituito consapevolezza; ora a loro tocca il dovere di vederci; vederci e condividere con noi impegni di politiche pubbliche possibili che ci tengano dentro il cerchio. Ignorarci non conviene a nessuno. Perchè se noi continuiamo ad essere invisibili, loro potrebbero scomparire.

mercoledì 8 agosto 2012

Il manifesto della generazione perduta

E' stato come guardarsi in uno specchio e non sapevo se esserne contenta o piangerci su. Le vie della rete amichevolmente percorse da Daniela Vellutino passando per La Stampa,  mi hanno portata a http://www.generazioneperduta.it/, manifesto della generazione di mezzo tagliata fuori dal futuro. Questa bella connessione che tiene insieme amicizia e profondità di informazione arriva fino ad una riflessione che sebbene sia agosto, ha superato in tre giorni le mille adesioni.  http://www.generazioneperduta.it/il-manifesto-della-generazione-perduta/ .
Intanto da qui vi invito a leggerlo, a firmarlo  e a diffonderlo. Cuore dell'appello 5 parole chiave:
Rispetto - Merito - Impegno - Progetto - Fiducia.
Le assumo in pieno e dedicherò da qui un post ad ognuna. Commenterò poi anche l'autorevole punto di vista in merito dell'economista Irene Tinagli http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10410 che arricchisce la discussione.

Portare la barca all'asciutto

"Noi in qualche modo "amm tirat  'a varc 'o 'sciutt   ma i figli nostri?"Gruppo di famiglia sotto l'ombrellone: i nipotini, i genitori poco sopra i trenta, i nonni che hanno appena raggiunto il traguardo della pensione o stanno per arrivarci.  Sintesi dei discorsi sospesi fra gli affanni di sempre, Monti e il rigore; si commenta che quest'anno 6 italiani su 10 non sono partiti per le vacanze; gli interrogativi sull'autunno che verrà, è l'inquietudine della neo nonna che ricorre alla saggezza dei modi di dire napoletani.
Noi abbiamo tirato la barca all'asciutto. E l'interrogativo supera la stagione delle castagne per spingersi oltre. Il futuro dei figli giovani, che lavorano e non lavorano, che se lavorano non si sa fino a quando e a quali condizioni lavorano. Hanno figli piccoli, l'impegno morale, materiale ed economico di mettere su casa preso grazie ai genitori che danno una mano quando serve, e serve spesso, sempre più spesso. La generazione del dopoguerra , giovani coppie degli anni Sessanta, una vita di lavoro per comprare la macchina, il frigorifero, la casa, il televisore a colori. Quante mogli hanno messo da parte dalla spesa le monete, da cento lire, la cinquecento lire di carta accantonando un anno intero la cifra necessaria per qualche giorno al mare o per il divano nuovo.
Quelle casalinghe dell'era del dado star oggi sono nonne e guardano alle figlie con apprensione: a quelle  che hanno i figli piccoli, a quelle che decidono che un figlio proprio non possono permetterselo. Economicamete ed emotivamente. Perchè da un individuo adulto ad un essere bambino il passaggio di sentimenti di fiducia e sicurezze dovrebbe essere un diritto naturale. Come una volta, non tanto tempo fa, solo una generazione fa in fondo. Dell'ultima generazione che è riuscita a tirare la barca all'asciutto.


giovedì 26 luglio 2012

La solitudine degli adultoscenti


In casa a far quadrare i conti; non siamo in piazza (ancora) grazie al welfamily. In silenzio, mantenuti. E non sappiamo se è più umiliante o più mortificante. Di certo non è giusto. E ognuno combatte la sua personale battaglia. Solitaria.
Confronto nel programma In Onda fra Spagna e Italia e la crisi che morde. Immagini di piazze iberiche in rivolta. Si protesta. Ed in Italia, ci aspetta un autunno caldo, è una delle domande sul tavolo.
Da noi la rabbia della protesta non è ancora esplosa perché la generazione di mezzo, età adulta, scelte da grandi, figli, viene “man-tenuta”, tenuta per mano dai genitori, dai nonni.
Le ciambelle di salvataggio si chiamano, pensioni,
dopo una vita di lavoro; casa di proprietà, dopo le cambiali di una vita;  piccolo risparmio dopo una vita di sacrifici.
E nel dibattito irrompe un neologismo “adultoscenti”.
Siamo adulti, lo dicono i compleanni che si susseguono, i figli che abbiamo messo al mondo, le rate da pagare, i salti da un contratto all’altro, i compensi che arrivano, quando arrivano, con anni di ritardo.
Siamo adolescenti: a casa con i genitori, non ce ne siamo mai andati o siamo stati costretti a tornare; e loro lì a sostenere. E noi in casa in silenzio. Le piazze italiane sono vuote. Ancora.

sabato 14 luglio 2012

Matrimonio fra fine e inizio millennio

Insieme. Per scelta che si fa ogni giorno scommessa. Cresciuti in un fluire di certezze che tendevano verso l'Italia media. Il lavoro, uno per tutta la vita, la scuola, le vacanze al mare, il Natale con i nonni.
Facciamo parte di una generazione sperimentale: che non ha fatto in tempo a rientrare nel terno del posto fisso; perchè a vent'anni pensi che basti studiare e seguire il tuo sogno. Era il tempo in cui la raccomandazione era un sistema normale per ritagliarsi un ruolo lavorativo e sistemarsi. Poi con Tangentopoli sembrava doversi aprire una stagione nuova, scandita dal merito.
Un'illusione. Di padre in figlio, di amico in amico, da potente a introdotto, la segnalazione è diventata solo più carsica, sotterranea. Con un sistema di 'regali' in  cui sono lievitate le percentuali perchè è aumentato il rischio. E hanno smesso anche di indire concorsi per ruoli pubblici.
Fino ad un certo punto pensi che il matrimonio sia un giorno che arriva come l'ultima tessera di un puzzle: occupazione certa per due; una casa con spazi rinnovati e arredata per due; e due che aspirano a moltiplicarsi almeno per due.
Poi senza dirselo esplicitamente scommetti e punti tutto sulla speranza: ti sposi anche se il lavoro non è quello sperato, la casa non è quella sognata e la consapevolezza che i figli hanno diritto ad avere genitori se non giovani almeno entusiasti. La prima bambina è una scelta di coraggio, il fratello un'incoscienza ragionata.Per amore. Di due che si è moltiplicato per due.
E' una riflessione del 2007, volevo prenderne solo un estratto; ma è tutto cosi brutalmente attuale.
Aggiungo solo una domanda: mi sono sposata nel 2000, avevo 34 anni, a 35 la prima bambina....
Quanti precari trentenni mettono su famiglia oggi?




venerdì 13 luglio 2012

Benvenuti e benvenute su sillabarioprecario

Precarietà. Di vita e di futuro; di lavoro. E i sentimenti? Come ci si sente senza il domani? Come cambia lo stare con gli altri, come si modificano gli affetti, che cambiano, eccome se cambiano; si nutrono di incertezza anch'essi. Voglio parlare di questo, qui, nel sillabarioprecario. Avevo cominciato a farlo su www.fiorente.ilcannocchiale.it il 7 settembre 2007; non si erano affermati ancora i social network. 
Come un amore complesso l'ho mollato e ripreso. 
Ignara delle potenzialità della rete avevo scelto una piattaforma per niente friendly. Ora ci riprovo. E' passato del tempo, e la precarietà che allora sentivo come una colpevole condizione solitaria è diventata  comune. Siamo in tanti ed in tante. 
Dirò a mano a mano la mia; per ora grazie a Goffredo Parise che ha firmato uno dei miei libri del cuore 
I Sallabari; da questo imperdibile titolo prendo prestito e ispirazione.