domenica 19 maggio 2013

Con-senso sociale precario a Palazzo San Giacomo

Chissà se esiste il senso di colpa istituzionale? E se attraversa  i piani alti di Palazzo San Giacomo, sede del Comune  di Napoli. La Giunta, da quando si è insediata ha scelto di mortificare le Politiche Sociali non pagando ormai da più di due anni i servizi che ha  affidato a decine di cooperative sociali, associazioni ed enti che si occupano di bambini a rischio, donne in difficoltà, ragazzi che non vanno a scuola, famiglie provate dall'esclusione sociale. 

Il sindaco Luigi de Magistris, il vicesindaco attualmente titolare della delega alle Politiche Sociali Tommaso Sodano il passato assessore al ramo, Sergio D'Angelo, sono stati e sono incapaci di declinare le Politiche Sociali come Politiche di Sviluppo; in una città come Napoli, sofferente e faticosa, puntare sul capitale umano di educatori, animatori, psicologi e tutti i profili professionali del settore per tendere la mano a tante persone di ogni età e dalle varie difficoltà sarebbe una risposta ad un futuro di malattia sicura, di disagio certo,  di affermazione della camorra inevitabile.

Oggi stanno determinando senza nessun senso di colpa istituzionale la precarietà rabbiosa degli operatori del settore e delle loro famiglie e la precarietà rassegnata di tanti cittadini privati dei servizi e delle loro famiglie. 

Oggi. Il domani appare sfocato all'orizzonte, senza certezze per gli uni e per gli altri.  Anche per chi ha o ha avuto responsabilità istituzionali. Faranno bene a non candidarsi più a niente, nemmeno ad amministrare il condominio dove vivono. Perchè se avranno l'ardire di farlo di certo non potranno chiedere consenso agli operatori sociali e alle loro famiglie e ai cittadini rimasti senza tutela e alle loro famiglie stremate dalle emergenze.

Dice che la prossima settimana il sindaco De Magistris presenterà i nuovi assessori chiamati a soccorso di tanta inefficacia e inettitudine. A chi prenderà la delega delle Politiche Sociali davvero non saprei che cosa augurare. Riannodare l'esile filo della fiducia per ricostruire il con-senso sociale pare impresa impossibile.

giovedì 2 maggio 2013

#PrimoMaggio 2013: tre donne raccontano

Un altro nodo si aggiunge qui  al filo del disagio collettivo del Primo Maggio che era appena ieri. E' un filo femminile.  Ieri appunto, la rete mi ha restituito prima la storia raccontata da Tiziana Ragni e a tarda sera, quello scritto da Gabriella Buttari sul giornale on line http://paralleloquarantuno.it/?p=2839e rilanciato da Giuliana Caso su fb.
Una storia difficile  e vera, come tante; una storia di questo disgraziato tempo. Voglio che si possa leggere anche da qui, perchè vedo in questi racconti di donne in cui senza neanche conoscerci ci siamo ritrovate ieri sulla rete a raccontare quel che sappiamo. Come da sempre fanno facciamo noi donne, consapevoli anche nella sofferenza che sta accadendo a te, ma non è un dolore solo tuo. 
E' un dolore collettivo ed un'ingiustizia collettiva, raccontati il PrimoMaggio Duemila13 da 4 donne. (lg) 

http://sillabarioprecario.blogspot.it/2013/04/nella-precarieta-tutti-i-giorni-sono.html di laura guerra

http://sillabarioprecario.blogspot.it/2013/05/amare-e-un-duro-lavoro.html di tiziana ragni


Anche se tornassi a lavorare nulla sarebbe più come prima di Gabriella Buttari

Un bel lavoro. Di quelli che per questi tempi qua guadagni bene, quasi 1700 euro al mese. Di quelli che la gente dice che non fai niente, che invece attacchi alle dieci e smonti pure, alle dieci, quando 





tutto va bene. segnaleticalavotro 


Di quelli che fai pure cose prestigiose, incontri e tratti con gente di livello, ti dà soddisfazione. Di quelli che al supermercato non badi al prezzo delle cose, compri senza pensare, a volte vai pure dalle gastronomie fighe. Di quelli che vai alla Feltrinelli almeno una volta a mese, e fai una bella scorta. Di quelli che vai anche dal parrucchiere.
Ma poi finisce. Lo sapevi che finiva, ma pensavi pure che il tuo lavoro prestigioso ti avrebbe aperto altre porte. Il tuo cv lungo e vario ti avrebbe dato molte scelte. Invece.
Invece gradualmente sei entrata pure tu nella folla che va al discount, prima nei giorni della settimana, alle due, per non farti troppo notare. Poi anche il sabato e la domenica, tranquillamente. Ma anche lì a decifrare i prezzi, a prendere i biscotti per i bambini che somigliano a quelli di prima per non fargli notare troppo la differenza. E ti fai la tintura in casa. E neanche negli outlet puoi andare più. Negli outlet in saldo, solo là puoi andare. A prendere le cose ai bambini perché crescono, e a loro devi comprare per forza. Tu, ti arrangi, e meno male che non cresci più.
Eri una privilegiata, e non sapevi di esserlo. Pensavi che il tuo modo di vivere era normale. Che non sarebbe cambiato mai. Invece.
Invece ora cammini su quel filo sottile che separa la sopravvivenza dalla povertà. Perché meno male che una casa ce l’hai, te l’hanno comprata i tuoi genitori professionisti, allora era normale. Oggi, che anche tu sei professionista, e pure tuo marito, non potresti mai comprare nemmeno una cabina al mare.
Da fuori sei quella di sempre, cerchi di mantenere una dignità tagliando le spese. Cominci a leggere solo i giornali on line, che sono gratis, addio al cartaceo; a mangiare fuori non se parla proprio, al limite sulla spiaggia con i panini. Vacanze da chi ti ospita, te e la tua famiglia. E poi eviti. Eviti un sacco di cose. Eviti di frequentare amici che invece un lavoro ce l’hanno ancora, e vanno fuori a mangiare una pizza che per quattro per te sarebbe troppo. Eviti di passare davanti ai cinema perché se i bambini vedono la locandina dell’ultimo cartone poi ci vogliono andare. Eviti di stare male, le medicine costano. Eviti di prendere la macchina perché è senza assicurazione, non la puoi pagare.
E poi speri. Speri che questa cosa cambi, che qualcuno prima o poi ti risponda, che abbia bisogno della tua alta professionalità e di tutto il resto. Speri che finisca, che torni ad essere tutto come prima.
Ma non sarà mai come prima. Anche se dovessi tornare a lavorare. Qualcosa dentro di te è cambiato. La tua idea di consumo, di cose che assolutamente servono e di cui non si può fare a meno. Cose non necessarie. Decrescita felice? Bisogna sbatterci la faccia, per decrescere, anche se non felicemente, almeno senza eccessiva sofferenza.

mercoledì 1 maggio 2013

Amare è un duro lavoro

 "Amare è un duro lavoro" è una storia bellissima. Scritta benissimo da  Tiziana Ragni che è @LaVeraMeriPop su  twitter e firma il blog  www.supercalifragili.com
La pubblico qui perchè mi piace che possa rimanere anche sul sillabario. Grazie a Tiziana.

- Giacomo e Maria sono sposati da quindici anni. Avete presente, si? Quando va di lusso ci si sente come due fratelli. Altrimenti insopportabili. In ultima istanza estranei. Eccola dunque la linea Maginot: è a quel punto che Giacomo inizia a farsi reticente, cambia le password al computer, si porta il cellulare al bagno, sparisce per non meglio identificati sopraggiunti impegni. Avete presente, si? E’ lì che Maria dice “Meripo’ ma secondo te?”. E beh avete presente si?

N’altra linea Maginot fra la bugia pietosa e l’attesa che Maria lo capisca da sola che l’amore dura tre anni e al quindicesimo continuare a infierire è disumano.
Però per quel po’ di prudenza che la carta d’identità, lo stato civile e questo blogghe mi hanno aiutato a sviluppare mi taccio. E dico, anzi scrivo, che Maria io non l’ho mai incontrata di persona ma solo di tastiera, le scrivo che “parla, chiedi. Ma solo quando sarai pronta a ricevere risposte sennò statte zitta e aspetta”.
E niente, Meripo’, quando squilla il cellulare si allontana, quando usa il computer si incacchia se gli passo alle spalle. Avete presente si? Assente, teso, basta cinema, basta pizze il sabato, basta vacanze insieme. Ci sono due bambini e in vacanza ci si va, poco, lei e loro.
Insomma questa storia va avanti più di un anno. E lei zitta. E io pure. E lui anche. Finché il mese scorso Giacomo l’ha fatto: l’ha invitata a cena fuori e le ha detto quelle due paroline con le quali di norma si apre ogni separazione che si rispetti:

-Dobbiamo parlare
Beh lo hanno fatto. Lei la prima cosa che gli ha chiesto è stata:
-Saltiamo le premesse, lei come si chiama?
Ed è stato allora che lui glie l’ha detto: lei si chiama disoccupazione. Giacomo un anno fa è stato licenziato. Ha continuato ogni giorno a uscire alle otto e rientrare alle sette, ha continuato a pagare bollette, dentista e vacanze dei bambini. Ha chiesto prestiti e ha dato fondo ai risparmi. Per un anno ha risposto al cellulare in bagno alle agenzie di lavoro interinale. Per un anno ha continuato a lavorare così: senza lavoro.
Ora una piccola offerta è arrivata: lo pagheranno di meno e lavorerà di più. Quindi a cena ha detto a Maria che quest’anno in vacanza ci si torna tutti insieme. Ma al campeggio.